Mi riferisco a London River di Rachid Bouchareb.
Ecco la recensione:
London River di Rachid Bouchareb
del 2009. Con Brenda Blethyn, Sotigui Kouyaté, Francis Magee, Sami
Bouajila, Roschdy Zem. (87 min. ca.)
Elisabeth (Blethyn), è una donna di mezza età
che vive sola - il marito è morto nella guerra delle Falkland e la
figlia Jane studia a Londra - nell'isola di Guernsey, dove porta
avanti una fattoria. È il 7 luglio del 2005, giorno dell'attentato
terroristico a Londra. Preoccupata per la figlia, la contatta più
volte non avendo risposta. Così si reca personalmente a Londra per
avere notizie. Conoscerà Ousmane (Kouyaté), una guardia forestale
in Francia di origine africana, anche lui in cerca di suo figlio Alì
che presumibilmente era legato da un legame amoroso proprio con Jane.
Dopo una prima forte diffidenza, si faranno forza per affrontare gli
avvenimenti che si succedono e tutto l'iter per riuscire a trovare,
in un modo o nell'altro, i due ragazzi e finiranno col comprendersi.
Film drammatico dai toni molto pacati, ma anche molto duro,
asciutto, senza fronzoli, che riesce a parlare in modo semplice e mai
sfacciato di integrazione, pregiudizi e razzismo.
Pregiudizi, che
tutti e due i personaggi avevano nei confronti l'uno dell'altra, nei
confronti anche dei loro due figli (il fatto che poi stessero
studiando l'arabo e che frequentassero la moschea aveva accentuato
questa ritrosia).
Ma è soprattutto Elisabeth che in un primo tempo
non riesce neppure a guardare e nemmeno a stringere la mano ad
Ousmane, mentre quest'ultimo - forse abituato ad essere malvisto,
anche per i suoi capelli lunghi rasta e ovviamente il colore della
sua pelle - accetta tutto, soffrendo ma senza darlo a vedere. Eppure
sono tutti e due uguali nelle loro esperienze, nel loro essere
genitori soli.
Tutto ciò viene messo in scena perfettamente dal
regista, ma soprattutto dai due sorprendenti protagonisti: una Brenda
Blethyn in parte nel ruolo di donna semplice e sofferente, ma
soprattutto credibile nel ruolo di questa tenera madre disperata per
la figlia, che piange e si strugge. Un'interpretazione dolente e
intensa, che coniuga espressività e un senso della misura nonostante
i momenti più toccanti. Davvero da applausi. Sotigui Kouyaté riesce
con poco a fare molto: basta un primo piano sui suoi occhi profondi e
scuri e sulla sua figura un po' malferma che già si ha il suo
personaggio ben definito. Anche per lui una performance misurata e
convincente (tra l'altro ha vinto l'Orso d'Argento a Berlino).
Fotografia fredda abbinata al clima londinese, un senso di malinconia
costante dall'inizio alla fine che non molla lo spettatore, una
narrazione realistica anche nei tempi, pur riuscendo ad andare subito
al dunque e a non perdersi in prolissità.
Prendere un fatto
veramente accaduto per poi costruirci una storia del tutto originale
senza che il risultato sia un insulto per una vicenda così grave e
senza apparire finto, è quasi un miracolo. Merito, di nuovo, del
regista - anche sceneggiatore -, che con polso riesce a dosare gli
ingredienti.
Un film che seppur commovente pare sincero, riuscendo a
trattare tematiche importanti senza cadere nella retorica. Da vedere.
Consigliatissimo.
Voto: ***1/2
Voi l'avete visto? Cosa ne pensate?
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