Come ultimo appuntamento settimanale, oggi vorrei proporvi un film leggere tutto basato su azione, sparatorie, gag che però mi ha molto divertito (in fondo a volte ci vogliono anche queste cose, no?).
Si tratta di Red, tratto dal fumetto di Warren Ellis ed illustrato da Cully Hamner.
Eccovi la recensione:
Red di Robert Schwentke del 2010.
Con Bruce Willis, John Malkovich, Mary-Louise Parker, Morgan Freeman,
Helen Mirren, Karl Urban, Brian Cox, Richard Dreyfuss, Julian
McMahon, Rebecca Pidgeon, Ernest Borgnine, Richard Dreyfuss. (111 min. ca.)
Tratto dall'omonimo
fumetto (anzi, graphic novel) scritto da Warren Ellis e illustrato da Cully Hamner, è un giocattolone
divertente di azione/spy, pieno di situazioni estreme, di sparatorie,
mosse ben assestate, ma anche intriso di ironia e per niente pesante.
Le esagerazioni visive (realizzate benissimo), l'invincibilità dei
protagonisti (Bruce Willis è Frank, ex agente della CIA che viene
ripreso di mira per cose accadute in passato) e tutta la finzione di
contorno non danno fastidio perché si entra subito nello spirito
della pellicola.
Il cast fenomenale e ricchissimo di nomi importanti fa il resto.
A parte Bruce Willis, ormai più
che abituato a certi ruoli, l'aver coinvolto attori quali Helen
Mirren e John Malkovich (nonché il piccolo cameo di Ernest Borgnine)
in ruoli non convenzionali per loro, ha fatto sicuramente la
differenza. La Mirren così elegante e spietata è fantastica. Ma
parliamo anche di Mary-Louise Parker: attrice bravissima, carismatica
e sottovalutata che in questo film sembra perfino ringiovanita e
riesce a tenere testa agli altri ed è forse il personaggio più
simpatico.
Gli altri fanno il loro dovere: Morgan Freeman fa sempre la sua figura. Sfiziosi i camei di Borgnine e Dreyfuss (irriconoscibile con barbetta bianca e pelato).
Davvero carino per una serata divano e pop corn. Leggero e
disimpegnato. Da vedere.
Voto: **1/2/***
Il trailer:
Voi l'avete visto, cosa ne pensate?
(Chiunque volesse prendere le recensioni citi questo blog. Riproduzione riservata)
Il film che vi voglio presentare oggi mi ha colpito per la sua asciuttezza, per essere piacevole e mai banale (ha dei dialoghi fantastici) e per le interpretazioni eccezionali di Meryl Streep e Philip Seymour Hoffman in particolare. Sto parlando de Il Dubbio di John Patrick Shanley.
Ecco la mia recensione (stringata a dire il vero):
Il Dubbio (Doubt) di John Patrick Shanley
del 2008. Con Meryl Streep, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Viola
Davis. (104 min. ca.)
Film scritto e diretto da Shanley (sua anche l'opera teatrale
da cui è tratto, vincitrice del Premio Pulitzer nel 2005) che racconta la vicenda di Padre Brendan Flynn
(Hoffman), che negli anni '60 lavora in una scuola di New York sotto
la presidenza di Sorella Aloysius Beauvier (Streep). Quando Sorella
James (Adams) comincia a credere che il rapporto tra il sacerdote e
un ragazzino di colore si sia spinto un po' oltre e lo fa presente
alla preside si scatenerà una piccola guerra tra questa e Padre
Flynn per l'appunto. Il dubbio sulla colpevolezza o meno, anche se
verranno presi provvedimenti, rimarrà.
Pellicola asciutta, scritta
benissimo e che, pur essendo romanzata fa riflettere (quanto noi
possiamo essere sicuri di conoscere le persone che accusiamo? Quanto
l'altro può fingere di essere innocente?). Recitata altrettanto bene
da tutti, ci si trova davanti ad un'opera che è proprio giocata
sulla recitazione. Non potevano fare meglio né Maryl Streep
(particolarmente apprezzabile qui perché non ha potuto sfoggiare la
sua mimica a volte esagerata e la sua recitazione a volte sopra le
righe. Sicura, in parte, davvero notevole) né Philip Seymour Hoffman
con il suo personaggio ambiguo (come in parte quello della Streep.
Ruoli davvero difficilissimi), né Amy Adams, giovane insegnante
buona d'animo che cerca comunque di essere giusta. Da menzionare
anche Viola Davis (vista e apprezzata in The Help, tra gli altri film). C'è anche Carrie Preston (la Tascioni della serie legal drama TheGood Wife in una minuscola parte).
Il regista, dato che ha
avuto carta bianca facendo tutto lui (e che per i motivi di cui sopra
conosceva l'opera come le sue tasche), si è dimostrato sincero (senza il minimo di malizia e senza usare espedienti furbi per colpire il pubblico),
diretto al dunque, per niente prolisso. I dialoghi poi sono perfetti,
senza sbavature e recitati con compostezza; la regia appunto di polso
(ci sono anche dei momenti di pungente ironia). Questa sincerità di
intenti e la sobrietà sono altre due qualità che fanno funzionare
il film (ma anche gli ambienti suggestivi fanno il loro dovere).
Da vedere assolutamente.
Voto: ****(1/2)
Il trailer:
Voi l'avete visto? Cosa ne pensate?
(Chiunque volesse prendere le recensioni citi questo blog. Riproduzione riservata)
Oggi voglio parlarvi di un film molto leggero, forse anche troppo banale per certi versi: L'amore secondo Dan, commedia sentimentale/romantica per famiglie.
Eccovi la recensione:
L'amore secondo Dan (Dan In Real Life) di Peter
Hedges del 2007. Con Steve Carell, Juliette Binoche, Dane Cook, Emily
Blunt, Alison Pill, Dianne Wiest, John Mahoney, Norbert Leo Butz, Amy
Ryan. (97 min. ca.)
Film che racconta la storia di Dan (Carrell), giornalista e
scrittore, vedovo da quattro anni e padre apprensivo di tre ragazze
(arriva perfino a spiare o ad intromettersi nella relazione di sua
figlia adolescente), il quale, passando le vacanze dai suoi,
incontrerà in una libreria della zona la carismatica e affascinante
Marie (Binoche). (Scena che ricorda la famosa pellicola Innamorarsi del 1984 di Ulu Grosbard con Robert De Niro e Meryl Streep). Sarà colpo di fulmine (reciproco), contro le sue
idee riguardo l'amore. Peccato sia la fidanzata di suo fratello
minore. Nasceranno equivoci e incomprensioni.
Commedia sentimentale
leggera leggera costruita a tavolino per intrattenere. A differenza
di altri film simili però, qui il garbo e la misura rimangono sempre
bilanciati, non si trascende in volgarità o in espedienti grossolani.
Ci sono anzi due o tre scene molto simpatiche (Steve Carrell che
durante una cena, disperato nel dover rimanere a guardare le moine di
suo fratello con Marie, mette prima la testa nel frigo, poi prende la
torta da servire e fa per colpirla con il coltello... ma ci sono
tutti i bambini della famiglia seduti davanti alla tavola predisposta
per loro a guardarlo. Oppure quando lui e Marie si ritrovano sotto la
doccia: lei quasi nuda, lui vestito).
Ovviamente c'è l'happy end. Ma
anche quello viene servito con una certa finezza e in un modo quasi anticonvenzionale. Non ci sono grandi baci o scene di sesso.
E'
proprio una pellicola per famiglie alla mariera classica, buonista, con i parenti alle spalle sempre pronti a capirti e a
perdonarti (e ciò può essere visto, a seconda dei gusti o del
momento in cui la si guarda, come un difetto. Plausibilissimo).
Steve
Carrell si è rivelato molto bravo e riesce a sfoggiare una gamma
emozionale che non ti aspetteresti da un comico; Juliette Binoche è incantevole
come al solito (anche se in certi momenti è un po' stucchevole): la
sua bellezza non sfacciata è proprio adatta al suo personaggio. Da
menzionare anche i meravigliosi Dianne Wiest e John Mahoney nei panni
dei genitori.
Sceneggiatura davvero buona per un film di genere e del
genere con dialoghi semplici ma azzeccati. La regia è un po' anonima
ma rende. Bella la colonna sonora originale scritta dal cantautore norvegese Sondre Lerche. Un film carino da vedere quando si vuole qualcosa easy e
senza impegno.
Voto: **1/2 (per il garbo)
Il trailer:
Scene simpatiche:
Uno dei brani più carini della colonna sonora (titoli di coda):
Voi l'avete visto? Cosa ne pensate?
(Chiunque volesse prendere le recensioni citi questo blog. Riproduzione riservata)
Oggi voglio parlarvi di un film che mi ha deluso. Tutti o quasi ne parlavano bene, altri hanno gridato al capolavoro. Io l'ho trovato scialbo, quasi un telefilm.
Mi sto riferendo all'opera prima di Ben Affleck - attore insipido e sceneggiatore - passato dietro la macchina da presa.
Per conoscere la mia opinione, eccovi la recensione:
Gone Baby Gone di Ben Affleck del
2007. Con Casey Affleck, Michelle Monaghan, Morgan Freeman, Ed
Harris, Amy Ryan, Robert Wahlberg, John Ashton, Amy Madigan, Michael
K. Williams. (114 min. ca.)
Film thriller basato sul romanzo La casa buia
(Gone, Baby, Gone) di Dennis Lehane (già autore di Mystic Riverportato sul grande schermo da Clint
Eastwood) che racconta la sparizione della piccola Amanda McCready,
di quattro anni, che vive a Boston con la madre drogata e
alcolizzata. Gli zii assumono due investigatori (Affleck e la
Monaghan) - partner e fidanzati - per ritrovare la nipotina. Quello
che sembra un rapimento per questioni prima di una chiusura di conti
per soldi legati alla droga (quindi la colpa viene data alla madre
negligente) e poi di un giro di pedofilia di persone vicine agli
spacciatori, viene poi scoperto essere un inganno con coinvolgimento
degli stessi poliziotti che stanno indagando sul caso. Agghiacciante
ritratto di una città corrotta, con la polizia che non si rende
conto di sbagliare ma anzi, si convince che siano perfino giuste
quelle azioni (sempre per un tornaconto).
Prima pellicola da regista
di Ben Affleck (sicuramente più bravo dietro la macchina da presa
che come attore), realizzata con toni documentaristici (a volte anche
troppo sotto le righe da sembrare un espisodio di una serie
televisiva) ed espedienti narrativi che assomigliano al sopracitato
Eastwood. Il risultato non è male ma neanche del tutto riuscito.
I
protagonisti non fanno in modo di farsi amare o quantomeno lo
spettatore non partecipa totalmente ai loro drammi e conflitti
interiori: tutto sembra raccontato troppo superficialmente, le loro
reazioni sembrano finte, non reali (e ciò spiazza per quel senso di
realismo dato dalla regia e dal montaggio asciutto), i loro problemi
personali sono troppo telefonati e sbrigativi per sembrare veri e
loro sembrano bidimensionali e piatti.
Dalla sua però ha anche molti
pregi: il non giudicare apertamente i personaggi.
Prendiamo la madre
(un'ottima Amy Ryan, davvero in parte e forse la migliore del gruppo
di attori insieme ad Ed Harris. Ha avuto anche una nomination
all'Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista per questo ruolo. E'
riuscita ad essere credibile recitando con un accento che non le
appartiene essendo lei newyorkese): ha sbagliato a lasciare da sola
sua figlia e alla fine, dopo tutto quello che è accaduto, ripete lo
stesso errore. In questo caso ci viene fatto vedere che
effettivamente è vero quello che diceva la detective e cioè che le
persone non cambiano. Però in tutte le parti in cui compare Helene,
viene raccontata per quello che è, né più né meno.
E' un bel modo
di narrare, che però cozza con alcune trovate troppo da romanzo e
dialoghi piuttosto assurdi. Forse è la sceneggiatura dello stesso
Affleck il punto debole film (paradossalmente, dato che nel 1997 aveva vinto un Oscar insieme all'amico Matt Damon proprio un
Oscar per la Migliore Sceneggiatura di Will Hunting),
sembra avere delle lacune.
Il film scorre benissimo, non è per
niente pesante ma lascia dei punti interrogativi. C'è qualcosa che
non funziona, si sente, ma non si capisce cosa sia. (Curiosità: sia
la Ryan che Michael K. Williams avevano preso parte alla serie tv The Wire, anche quella molto realistica, molto ancorata
alla realtà, un vero proprio cult e un capolavoro. La sequenza
iniziale potrebbe ricordarla per come ci viene presentata la città
con la sua fecciae i suoi problemi). Comunque, per essere un'opera
prima è sicuramente interessante, soprattutto per la tematica
affrontata (ma è molto molto meglio "Argo"). Da vedere per curiosità.
Voto: **1/2
Il trailer:
Voi l'avete visto? Opinioni?
(Chiunque volesse prendere le recensioni citi questo blog. Riproduzione riservata)
Buon inizio di settimana!
Oggi vi voglio proporre un film piuttosto recente (del 2013) che mi ha deluso (anche se me l'aspettavo): Il Grande Gatsby di Baz Luhrman.
Nient'altro da aggiungere. La mia recensione parla chiaro (forse anche troppo stavolta).
Il Grande Gatsby (The Great Gatsby) di Baz
Luhrmann del 2013. Con Leonardo DiCaprio, Tobey Maguire, Carey
Mulligan, Joel Edgerton. (143 min. ca.)
Film tratto dal romanzo omonimo di Francis
Scott Fitzgerald e liberamente ispirato dal film del 1974 di Jack
Clayton. Partendo dal presupposto che Baz Lurhmann è sempre
ridondante ed esagerato, qui veramente è andato oltre. Insomma, ci
si deve aspettare questo ma non è detto che alla fin fine funzioni. Visivamente ha un impatto impressionante (da lodare il dispendio di
effetti speciali, la fotografia, i costumi, le scenografie, tutti i
particolari perfetti: perfino Gatsby da bambino uguale a Di Caprio)
ma anche eccessivo e troppo fastoso. Guardandolo a posteriori le
bellissime feste di Gatsby assomigliano più alla festa iniziale de
"La grande bellezza" di Sorrentino (guarda caso il titolo
simile) e forse in questo c'è anche una critica alla società
dell'epoca. Però tutto viene sbattuto in faccia allo spettatore.
Tutto, anche la storia non ha un centesimo della classe e del mistero
che aveva il film di Clayton (né del libro ovviamente) e viene
troppo semplificata (mentre anche il libro era piuttosto intricato)
per renderla forse più accessibile (in effetti il film del '74 è
anche troppo criptico e un po' freddino). Tutta quella ridondanza di
immagini è fine a se stessa. Fantastico, davvero impeccabile, ma
poi?
Anche il cast: Leonardo Di Caprio bravissimo come al solito, per
carità; Carey Mulligan sempre molto carina ed espressiva, va bene.
Ma anche lì: esiste un solo Gatsby e cioè Robert Redford. Quando
appariva sullo schermo sembrava uscire dal libro. Era esattamente
come veniva descritto da Fitzgerald. Qui Di Caprio invece, per quanto
sia un bell'uomo, non ha quel carisma, quel portamento,
quell'eleganza, quel fascino di Redford. Anzi, l'ho trovato a volte
ridicolmente impacciato, imbolsito. La stessa Mulligan non è
Daisy. Daisy è solamente Mia Farrow: fragile, sensibile,
manipolabile e svampita: Carey Mulligan è molto dolce, ha un aspetto innocente, ma non è quel personaggio. Vogliamo parlare poi di Tobey
Maguire? Sempre in mezzo ai piedi con quel sorrisetto e quello
sguardo indagatore (Sam Waterson era un'altra cosa).
(Carey Mulligan)
(Mia Farrow)
Si riprende
verso la fine, ma comunque non riesce ad essere convincente.
Ripeto,
non dico che il film del '74 fosse un capolavoro. Non lo era.
Prolisso, confuso, freddo i difetti più evidenti. Ma almeno il cast
era all'altezza dei personaggi del libro (da menzionare anche Karen Black che interpretava Myrtle).
(Sam Waterson)
(Karen Black)
Poi anche la musica moderna
con inserti jazz. Ma perché? Perché non lasciare almeno quella
suggestione specifica? (Forse va un po' meglio con l'eterea e suggestiva Young And Beautiful di Lana Del Ray, ma gli altri pezzi proprio sono intollerabili).
Io non disprezzo lo stile di Luhrmann nel
rileggere varie epoche e riportarle ai giorni nostri modernizzate
(l'ho davvero stimato per Romeo + Giulietta. E non quando
ero una ragazzina infatuata di Di Caprio ma ultimamente. Lo stesso vale
per Moulin Rouge!. Ridondante ma dal cast perfetto.
Esagerato ma ci stava. Non ho visto Australia però non
penso di essermi persa niente), ma in questo caso si è lasciato
prendere la mano, ha perso di vista l'obiettivo. Come in molti hanno notato, sembra un grande
videoclip. Peccato, perché se solo avesse abbassato il profilo e
fosse stato un po' più modesto, il risultato sarebbe stato
differente. Da vedere per curiosità e perché effettivamente
l'impegno c'è, nient'altro.
Voto: **1/2 (per l'impegno potrei anche arrivare a ***, ma non ce la faccio)
Ecco il trailer del film di Luhrmann:
E il trailer del film di Clayton:
Voi l'avete visto? Cosa ne pensate? Siete d'accordo con me?
(Chiunque volesse prendere le recensioni citi questo blog. Riproduzione riservata)
Il film che vi voglio proporre come ultimo appuntamento di questa settimana con il mio blog è un western molto riuscito: Il Grinta dei Fratelli Coen.
Non mi dilungherò in premesse perché tutto quello che dovete sapere (o quasi) c'è scritto nella recensione.
Eccola:
Il Grinta(True Gift) di Joel ed Ethan Coen
del 2010. Con Jeff Bridges, Hailee Steinfeld, Matt Damon, Josh
Brolin. (110 min. ca.)
Tratto dal romanzo di Charles Portis già portato sul
grande schermo da Henry Hathaway con John Wayne [non avendo visto il
primo - se non qualche scena - non posso fare paragoni (avevo
guardato per forza di cose il sequel, Torna El Grinta,
nel quale Wayne era accompagnato da Katharine Hepburn)], è un film
western che racconta la storia di Mattie Ross (Steinfeld), la quale
vuole vendicare l'uccisione di suo padre da parte del fuorilegge Tom
Chaney. Per riuscire a trovarlo e portarlo a casa per farlo impiccare
assolda uno dei più temibili sceriffi: Rooster Cogburn (ma anche uno
dei più ubriaconi e per di più cieco da un occhio) (Bridges).
Verranno aiutati anche dal Texas Ranger LaBoeuf (Damon). Insieme
riusciranno a districarsi da mille intralci. Non tutto andrà per il
meglio, ma il padre della quattordicenne verrà vendicato in un modo
o nell'altro.
Bella pellicola dall'impianto classico ma che si
libera da quei fronzoli (e lungaggini) tipici del genere: ha una freschezza
percepibile fin dai primi minuti. L'incipit è appassionante e fa
entrare subito nella storia e parteggiare per la giovane Mattie.
Se
la regia dei Coen è come al solito impeccabile, la fotografia non ne
parliamo, la sceneggiatura idem, chi colpisce veramente (all'istante) è Hailee
Steinfeld, di una bravura e di un'espressività incredibili. Il modo
in cui pronuncia le battute, le azioni che compie e soprattutto come
le compie sono da far sbiancare anche le attrici più "anziane"
e con molta più esperienza di lei: una scoperta. (Avrebbe dovuto essere nominata agli Oscar come Migliore Attrice Protagonista- e magari vincerlo -, non essere nominata come Miglior Attrice Non Protagonista: è lei il personaggio principale!) Quasi oscura (anzi,
senza il "quasi") l'inappuntabile Jeff Bridges che sfoggia
un'andatura alla Drugo, ma ancora più trasandato se possibile (non
fosse altro per la parlata), - offre una versione alternativa, nonché un'altra chiave di lettura del personaggio -, anche lui divertente e in parte. Bravo
- anche se compare poco tempo - Matt Damon (forse sono influenzata anche
da come è vestito e dai baffoni che porta, dato che solitamente lo
trovo alquanto scialbo). Simpatica la presentazione del suo LaBoeuf (e i realativi battibecchi con Mattie).
Non sarà forse il più bello dei Coen per
un sacco di fattori. Ne menzionerò due.
Il primo: è un remake (più o meno). Un
remake di un film con un attore simbolo e un regista capace che ha fatto la storia.
Il
secondo: proprio perché tratto da un libro e visto che deve
ovviamente seguire un certo schema, i Coen non possono sfoggiare più
di tanto le loro bizzarrie e il loro genio (pur avendo dei dialoghi
molto veloci, taglienti, molto simpatici).
Resta comunque un film
godibilissimo e per nulla noioso e prolisso (uno dei difetti che in molti
riscontrano, compresa la sottoscritta, riguardo al genere westerrn) che si fa ricordare.
Da vedere assolutamente.
Voto: ****/****1/2
Il trailer:
Voi l'avete visto? Opinioni?
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