Nuovo film candidato all'Oscar. Altra delusione cocente.
Andrò controtendenza, dato che è un film che ha riscosso e sta riscuotendo successo in ogni parte del globo, ma a certe operazioni non ci casco, soprattutto se gli originali erano di un altro livello.
A Star Is Born, remake del film del '76 con Barbra Streisand e Kris Kristofferson di Frank Pierson*, remake del film del '54 con Judy Garland e James Mason diretto da George Cukor (e vero capolavoro tra i quattro) il quale a sua volta era remake del film del '37 di William A. Wellman (che a sua volta... ma tagliamo corto), è una storia dall'impianto classico messo in scena con taglio moderno, grandi primi piani e scene madri melense.
Non che non ci siano scene forti e d'impatto, non che Shallow non sia una grande hit e sì, siamo tutti consapevoli di trovarci di fronte ad un'opera realizzata per compiacere e colpire alla pancia lo spettatore.
E il risultato è un film finto, stucchevole e poco sincero, troppo impegnato a far sembrare grandiosa la sguaiata Lady Gaga, che ogni tanto convince, ogni tanto dà sui nervi con quegli occhi sbarrati o l'espressione perennemente schifata. Bradley Cooper, capello unto e barba da vero rocker vissuto non è credibile neanche per un secondo.
C'è da ammettere però che il doppiaggio è pedestre (perché devono tutti parlare scandendo le sillabe? Odioso) e in originale guadagnerà di sicuro dei punti. In ogni caso è un film che non ha neppure la metà del fascino che aveva la già discutibile pellicola del '76 (che a questo punto bisogna esaltare, dato che il paragone non regge).
Le otto nomination all'Oscar sono vergognose. Comunque da vedere giusto per capire cosa ci troveranno quasi tutti di così bello.
In ogni caso Bradley Cooper come regista si impegna (belli i titoli di testa). Rimandato a... tra un po' di tempo.
*Mia recensione
Voto: **1/2
lunedì 28 gennaio 2019
#OSCAR2019 #AcademyAwards2019 - A Star Is Born di Bradley Cooper storia vecchia come il mondo (e remake sostanzialmente del film del 1976 con Barbra Streisand) dagli ottimi intenti ma dallo scarso e falsissimo risultato. Ovviamente è nominato (e vincerà) una valanga di premi (ne ha già vinti tanti fino ad ora)
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giovedì 24 gennaio 2019
#OSCAR2019 #AcademyAwards2019 - Green Book di Peter Farrelly, storia vera romanzata che piace e sa di piacere. Bella prova interpretativa per Mahershala Ali
Ritorno dopo tanto tempo per parlarvi di un film che sta riscuotendo molto successo al cinema, com'era prevedibile, per la trama e il suo essere creato a tavolino per scaturire un certo tipo di reazioni.
Mi riferisco a Green Book di Peter Farrelly con Viggo Mortensen, Mahershala Ali e Linda Cardellini.
Green Book di Peter Farrelly, storia vera - romanzata - sul pianista di colore Don Shirley e del suo autista bianco Tony Vallelonga, è buonista e di maniera, fin troppo furbo e prevedibile, con quelle sue battutine puntuali e il suo essere così posato.
Ma tra un Viggo Mortensen ghignoso e dall'italiano (o)stentato (in lingua originale sanguinano le orecchie) e un Mahershala Ali che dimostra ancora una volta di essere al di sopra dei film che interpreta (ricordate quell'obbrobrio acclamato che fu nel 2016 "Moonlight" di Barry Jenkins?), tra la bella musica dell'epoca e l'atmosfera natalizia, la suggestione vintage, quel "sa di già visto", cattura, coinvolge, rende partecipi: i buoni sentimenti e l'ironia facile intontiscono tutti, ammettiamolo.
Il punto è che ci troviamo davanti ad una pellicola di intrattenimento.
Intelligente, talvolta acuta, a volte ingenuotta (sembra che il coraggio iniziale si annacqui in qualcosa di molto più formale e politicamente corretto di quanto non sembrasse) non è assolutamente meritevole di un Oscar come Miglior Film ad esempio, a prescindere dagli altri concorrenti.
Ma è quel tipo di opera che sembra chiamarli, i premi popolari.
Una bella operazioncina che piace e si autocompiace.
Merita comunque una visione, sapendo in anticipo che si verrà "ricattati".
Mi riferisco a Green Book di Peter Farrelly con Viggo Mortensen, Mahershala Ali e Linda Cardellini.
Green Book di Peter Farrelly, storia vera - romanzata - sul pianista di colore Don Shirley e del suo autista bianco Tony Vallelonga, è buonista e di maniera, fin troppo furbo e prevedibile, con quelle sue battutine puntuali e il suo essere così posato.
Ma tra un Viggo Mortensen ghignoso e dall'italiano (o)stentato (in lingua originale sanguinano le orecchie) e un Mahershala Ali che dimostra ancora una volta di essere al di sopra dei film che interpreta (ricordate quell'obbrobrio acclamato che fu nel 2016 "Moonlight" di Barry Jenkins?), tra la bella musica dell'epoca e l'atmosfera natalizia, la suggestione vintage, quel "sa di già visto", cattura, coinvolge, rende partecipi: i buoni sentimenti e l'ironia facile intontiscono tutti, ammettiamolo.
Il punto è che ci troviamo davanti ad una pellicola di intrattenimento.
Intelligente, talvolta acuta, a volte ingenuotta (sembra che il coraggio iniziale si annacqui in qualcosa di molto più formale e politicamente corretto di quanto non sembrasse) non è assolutamente meritevole di un Oscar come Miglior Film ad esempio, a prescindere dagli altri concorrenti.
Ma è quel tipo di opera che sembra chiamarli, i premi popolari.
Una bella operazioncina che piace e si autocompiace.
Merita comunque una visione, sapendo in anticipo che si verrà "ricattati".
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