martedì 31 gennaio 2017

ANTEPRIMA #Oscar2017 #AcademyAwards2017 - Jackie di Pablo Larraín, film drammatico che parla delle ore e i pochi giorni dopo l'assassinio di John F. Kennedy che deve affrontare la moglie Jacqueline. Particolarissimo nel modo di affrontare l'argomento, per il montaggio e per la regia stessa. Natalie Portman non all'altezza del ruolo, nonostante tutto l'impegno

Oggi vi voglio parlare di un altro film in previsione degli Oscar (ed è una delle - tante - pellicole presentate con successo all'ultima Mostra del Cinema di Venezia). Un film diretto da un regista molto considerato negli ultimi due anni.
Mi riferisco a Jackie di Pablo Larraín.
Ecco la recensione:




 
Jackie di Pablo Larraín del 2016. Con Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, Billy Crudup, John Hurt, Max Casella, Beth Grant, John Carroll Lynch, Sunnie Pelant. (95 min. ca.)
Le ore e i giorni di Jacqueline Kennedy (Portman), dopo la morte del marito e presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy, alle prese con i preparativi del funerale, l'elaborazione del lutto, i dubbi sulla fede. 











Film biografico inconsueto. 
Molto pacato, ovattato, quasi irreale e sospeso nel tempo. 
È palesemente tutto finto. I toni sembrano distaccati, distanti, eppure la figura di Jackie, per l'appunto, come donna, è descritta con molta dignità: è innanzitutto una donna che ha perso il marito, che però deve farsi carico anche dell'esposizione mediatica, del mantenere salvaguardati i figli. 
Il cast fa un buon lavoro, ma, nonostante la sua bravura, Natalie Portman non pare mai in parte. Rende bene l'idea di una persona composta, eppure sembra acerba, poco coinvolta. Solo verso la fine sembra essere più convincente. Nomination all'Oscar meritata? Più incisivi gli altri attori (Greta Gerwig è piacevole sempre e comunque). Anche John Hurt - nella sua ultima interpretazione, purtroppo, nei panni del prete "confessore". 
Particolarissimo, ben girato, con un montaggio efficace e una colonna sonora altrettanto stramba (candidata ad una statuetta).
Da vedere. Consigliato.


Voto: ***






Il trailer:








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lunedì 30 gennaio 2017

ANTEPRIMA #Oscar2017 #AcademyAwards2017 - Moonlight di Barry Jenkins, film drammatico di formazione tra droga, bullismo e omosessualità. Piuttosto pretenzioso, con qualche scena riuscita

Oggi vi voglio parlare di un film in uscita tra poco nelle sale. Un film con ben otto nomination agli Oscar. Non del tutto meritatamente, a mio avviso.
Mi riferisco a Moonlight di Barry Jenkins.
Ecco la recensione:






Moonlight di Barry Jenkins del 2016. Con Trevante Rhodes, Janelle Monáe, Naomie Harris, André Holland, Mahershala Ali, Ashton Sanders, Jharrel Jerome. (111 min. ca.)
La storia di Chiron, un afroamericano deriso da tutti fin da piccolo per una sua presunta omosessualità e con una madre tossicodipendente. Cresciuto da uno dei boss del luogo (Miami), Chiron impara a farsi strada, ma rimane sempre in fondo in fondo se stesso. 











Film candidato addirittura ad otto Oscar che in realtà non è nulla di che ed anzi, appare pretenzioso. Diviso in capitoli, è una specie di autobiografia del regista. 
Le vicende vengono tirate per le lunghe (con tempi dilatati) e sembrano imbastite per creare un certo sensazionalismo. 
Qualcosa funziona: la fotografia ad esempio, elemento importantissimo per caratterizzare i personaggi, le varie scene. Oppure alcuni momenti fondamentali per la crescita degli stessi. La scena della tavola calda verso l'epilogo è molto intensa e ben recitata. 
Il finale invece risulta un po' stucchevole, d'effetto. 
Anche il cast è un po' altalenante. Se Trevante Rodes, André Hollande e Naomie Harris sono in parte, altri del folto gruppo dimostrano tutta la loro inesperienza. 
Un film piuttosto affascinante, dalle belle atmosfere ma che sembra voler essere alternativo/indie, apparendo bensì finto. 
Anche questo è nella rosa degli “acchiappa-Oscar” e “quota black”. 
Da vedere per curiosità. Consigliato a metà.


Voto: **1/2






Il trailer:








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sabato 28 gennaio 2017

ANTEPRIMA #Oscar2017 #AcademyAwards2017 - Barriere (Fences) di Denzel Washington, dramma dall'impianto teatrale convincente e dinamico nella prima parte, sottotono e urlato nella seconda. Ne fanno le spese anche i protagonisti (lo stesso Denzel Washington e Viola Davis, la quale comunque vincerà senza problemi l'ambita statuetta)

Oggi vi voglio parlare di un'ennesima anteprima. Un film tratto da un'opera teatrale diretto da un attore e regista molto apprezzato e vincitore di due premi Oscar.
Mi riferisco a Barriere (Fences) di Denzel Washington.
Ecco la recensione:





Barriere (Fances) di Denzel Washington del 2016. Con Denzel Washington, Viola Davis, Mykelti Williamson, Saniyya Sidney, Russell Hornsby, Stephen Henderson, Jovan Adepo, Toussaint Raphael Abessolo. (138 min. ca.)
Pittsburgh, anni '50. Troy Maxson (Washington) è un padre di famiglia con un passato tormentato da esperienze negative quali il carcere e una carriera di baseball stroncata. La moglie Rose (Davis) gli sta sempre accanto nonostante tutti i problemi con il figlio Cory (Adepo) e con il fratello Gabe (Williamson), che è rimasto menomato durante la guerra. L'equilibrio però finirà per spezzarsi... 









Adattamento cinematografico dell'opera teatrale omonima del 1983 di August Wilson (che figura come sceneggiatore principale), vincitrice del Premio Pulitzer per la drammaturgia. 
Di impianto teatrale, la prima parte è tutta ambientata soltanto tra casa e cortile ed è anche la più solida, più piacevole, con dialoghi velocissimi, serrati che parlano di distanze generazionali e di mentalità. 
I movimenti di macchina riescono a raggirare intelligentemente il rischio di una certa staticità. 
La seconda parte, che si sposta invece anche fuori dal piccolo territorio dei Maxson, paradossalmente, è anche quella meno convincente. 
Non solo per la regia in sé, quanto per la sceneggiatura meno incisiva, per i dialoghi più scarni, per le situazioni finte, tirate via. 
Il cast è composto totalmente da attori di colore (unica concessione la foto di Kennedy incorniciata e appesa vicino a quella di Martin Luther King), bravissimi per altro. Denzel Washington stupisce. Molto istrionico, carismatico, almeno inizialmente. Viola Davis è altrettanto espressiva e veramente convincente, sempre all'inizio. E anche gli altri sono in gamba. 
Purtroppo però, i difetti di cui sopra e i toni un po' più drammatici e struggenti rendono troppo sopra le righe anche la recitazione: troppo urlata, decisamente stucchevole. 
Il finale è altrettanto ad effetto senza però essere credibile. La prolissità e il poco ritmo sono altri due problemi che si fanno sentire. 
Un film che è un mezzo passo falso. Sicuramente da non nominare come Miglior Film e neanche come Miglior Sceneggiatura Non Originale (a teatro avrà funzionato bene, ma in questa versione no. Sarà probabilmente anche colpa di Washington regista. Rimane il fatto che qualcosa stride) all'Oscar. 
La candidatura per Denzel Washington e Viola Davis (che sicuramente vincerà la statuetta) sono meritate fino ad un certo punto. Un vero peccato. 
Da vedere per curiosità (e in lingua originale, dato che l'accento è spiccatissimo e si perderebbe quel fascino). Consigliato a metà e in vista degli Oscar, per l'appunto. 


Voto: **1/2







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venerdì 27 gennaio 2017

ANTEPRIMA #Oscar2017 #AcademyAwards2017 - La battaglia di Hacksaw Ridge di Mel Gibson, film di guerra/biografico dall'impianto classico. Solido, di grande impatto emozionale e visivo. Con un protagonista azzeccato

Oggi vi voglio parlare di un altro film in anteprima. Un film di un regista e attore molto criticato per la sua condotta di vita e le sue idee, nonché per i contenuti e le immagini forti all'interno dei suoi lavori. Quest'ultimo è davvero valido.
Mi riferisco a La battaglia di Hacksaw Ridge di Mel Gibson.
Ecco la recensione:






La battaglia di Hacksaw Ridge (Hacksaw Ridge) di Mel Gibson del 2016. Con Andrew Garfield, Vince Vaughn, Sam Worthington, Luke Bracey, Hugo Weaving, Ryan Corr, Teresa Palmer, Rachel Griffiths, Richard Roxburgh, Luke Pegler, Richard Pyros, Ben Mingay, Firass Dirani. (131 min. ca.)
La storia vera di Desmond T. Doss (Garfield), obiettore di coscienza di fede avventista che ad Okinawa, durante la seconda guerra mondiale, si oppose con tutto se stesso all'uso delle armi. Prestando invece soccorso ai feriti, riuscì a salvare settantacinque persone. 














Film biografico/di guerra dall'impianto classico ma con lo stile crudo tipico del regista, che non risparmia nulla alla vista dello spettatore (sangue, arti e corpi mozzati, corpi in diverse condizioni, ratti, ecc...). 
Inizia come una semplice biografia, alternando durante la prima ora scene di battaglia, per l'appunto, ad altre più da polpettone amoroso. Il tutto però viene stemperato dalla drammaticità della vicenda. La bontà di cuore del protagonista fa commuovere durante una scena in particolare (notturna, sempre sul campo di battaglia): dolcissima, da brividi. 
Dalle sequenze di guerra eccezionali per come sono state girate, con una verosimiglianza impressionante (visivamente ed emotivamente di impatto), l'ultima ora è al cardiopalma, lascia senza fiato, stremati e scossi come lo stesso Doss. 
Il cast è ottimo. Andrew Garfield (che ritroviamo anche nel ruolo del padre gesuita in Silence* di Martin Scorsese) si presta bene al ruolo di ragazzo per bene, devoto e fermo nel suo credo. Interpretazione sentita e toccante. Giusta la nomination all'Oscar. Vince Vaughn è convincente nei panni del Sergente duro e severo (stereotipato, sì) che poi si ravvede. Anche Sam Worthington ha il piglio giusto. Hugo Weaving, nel ruolo del padre alcolizzato e violento, è in gamba, come sempre: bravo caratterista. 
Un film solido con una colonna sonora maestosa e pomposa che si confà al genere (sa di già sentito, ma non è un difetto) che parla di carità cristiana e di questa figura quasi insolita e anticonformista. Potrà far storcere il naso, potrà sembrare a tratti retorico, a tratti troppo patriottico, ma coinvolge e appassiona come poche altre pellicole di guerra hanno saputo fare. 
Ha un ritmo sempre teso, non molla un attimo la presa, sa bilanciare i toni senza mai sorpassare il buon gusto. Potente e devastante. Una gran bella sorpresa. 
Da vedere assolutamente. Consigliatissimo. 
(Candidato, meritatamente, a sei premi Oscar). 


*Mia recensione
Voto: ***1/2








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giovedì 26 gennaio 2017

ANTEPRIMA #Oscar2017 #AcademyAwards2017 - Il diritto di contare (Hidden Figures) di Theodore Melfi, commedia drammatica/biografica su tre donne di colore che hanno attivamente partecipato alle attività spaziali della NASA. Un dietro le quinte edulcorato, buonista, troppo studiato a tavolino. Candidato a due statuette

Oggi vi voglio parlare di un altro film in anteprima che sarà distributo nelle sale a marzo e che tra l'altro nella rosa di candidati per l'Oscar al Miglior Film. Un film in verità mediocre.
Mi riferisco a Il diritto di contare (Hidden Figures) di Theodore Melfi.
Ecco la recensione:





Il diritto di contare (Hidden Figures) di Theodore Melfi del 2016. Con Taraji P. Henson, Octavia Spencer, Janelle Monáe, Kevin Costner, Kirsten Dunst, Jim Parsons, Glen Powell, Mahershala Ali, Aldis Hodge. (127 min. ca.)
Negli anni '60, Katherine Johnson (Henson), Dorothy Vaughan (Octavia Spencer) e Mary Jackson (Janelle Monáe), tre donne di colore, aiuteranno la NASA nelle imprese spaziali e diventeranno figure di rilievo all'interno dell'agenzia rompendo le barriere e di fatto eliminando i pregiudizi razziali. 












Commedia drammatica/biografica che tratta una parte di storia americana praticamente sconosciuta da noi. 
Purtroppo però, fin da subito, nonostante la brillantezza e qualche trovata - anche simpatica o efficace - qua e là, dimostra di essere un prodotto didascalico, edulcorato e buonista. 
La storia si fa seguire, coinvolge anche, ma si capisce subito che vuole fare la morale. Questo suo essere americano fino al midollo risulta stucchevole. 
Il cast è molto in parte. Se Octavia Spencer è brava (ma non così brava da essere nominata all'Oscar), sicuramente Taraji P. Henson, la protagonista, meriterebbe più considerazione. Ritroviamo un Kevin Costner in forma nei panni del "bianco buono", una Kirsten Dunst nella parte dell'odiosa e razzista (credibile a dire il vero), un Jim Parsons spaccone che alla fin fine deve ammettere la superiorità della sua collega di colore. 
Un film che mira forse ad essere il nuovo The Help (non a caso c'è Octavia Spencer che per quella pellicola aveva vinto l'Oscar) ma non ne ha lo stile. Candidato anche come Miglior Film, fa parte di quella "quota black" necessaria per sfatare le dicerie sull'Academy dopo le polemiche dell'anno scorso scatenate da Spike Lee. 
Ed è un film acchiappa-Oscar. Politicamente corretto, coraggioso fino ad un certo punto (ci sono troppi cliché, troppe trovate a tavolino), col pezzo soul/jazz/gospel (la colonna sonora è curata principalmente da Pharrell Williams) giusto al momento giusto. Ed edificante fine a se stesso. Il fatto, come menzionato, che sia apertamente di parte non sarebbe un problema: sono i toni, la fattura del prodotto ad esserlo.
Eppure Melfi aveva dimostrato uno humor molto più tagliente e più cinico nel tenero e divertente St. Vincent*. In questo caso, purtroppo, le battute più dure e significative si disperdono in un mare di melassa. E lo spettatore è pilotato verso determinate emozioni dovute ai continui colpi bassi. Piacevole a tratti ma non basta. Sicuramente un film non da Oscar. 
Da vedere per curiosità però. Consigliato a metà. 


*Mia recensione
Voto: **1/2






Il trailer:







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