Mi riferisco a Scarpette rosse di Michael Powell ed Emeric Pressburger.
Ecco la recensione:
Scarpette rosse (The Red Shoes) di Michael Powell
ed Emeric Pressburger del 1948. Con Anton Walbrook, Marius Goring,
Moira Shearer, Robert Helpmann, Léonide Massine, Albert Basserman,
Esmond Knight, Ludmilla Tchérina, Marie Rambert, Jean Short, Gordon
Littmann, Austin Trevor. (135 min. ca.)
Al Covent Garden di Londra si affacciano
nuovi talenti: il compositore e direttore d'orchestra Julian Craster
(Goring) e la ballerina di fila Victoria "Vicky" Page
(Shearer), che inizialmente paiono snobbati, ma che successivamente
vengono presi sotto l'ala protettiva di Boris Lermontov (Walbrook),
un impresario famoso e stimato. Quest'ultimo si invaghisce totalmente
della ragazza e fa preparare un balletto intitolato "The Red
Shoes" tratto da una fiaba di Hans Christian Andersen, che avrà
come prima ballerina proprio Victoria, al fine di farne una stella.
Lo spettacolo avrà un successo straordinario, ma di lì a poco le
cose cambieranno...
Melodramma musicale di fiammeggiante vitalità.
Brillante, malinconico, in un tripudio di colori.
Ambizione, gelosie,
vita di palcoscenico, amore per il teatro e la danza in un'opera che si stenta a
credere abbia quasi settant'anni per quanto appare moderna per
contenuti e - sorprendentemente - per la forma, la tecnica.
In uno
sfavillante Technicolor, colpisce per creatività e forza espressiva,
per le scelte registiche, l'uso delle luci (anche quelle naturali),
la composizione dell'immagine, l'utilizzo assolutamente geniale del
montaggio e dalle sovrimpressioni: vere e proprie trasformazioni
davanti agli occhi dello spettatore che verrà coinvolto da un
processo metateatrale/metacinematografico (e che musiche vengono
abbinate!).
Il tutto senza l'ausilio dei mezzi a disposizione oggi
(quali la CGI, green screen, ecc....). Impressionanti allo stesso
modo le combinazioni e i contrasti cromatici tra i fondali, le
scenografie in generale e i costumi.
Ma si badi bene: non è un mero
esercizio di stile, c'è ben altro. Il mondo dello spettacolo viene
messo alla berlina pur raccontando una sorta di triangolo amoroso
ambientato in quell'universo. Tutto ciò mediante dialoghi acuti,
mezze frasi qua e là e una caratterizzazione dei personaggi
puntuale.
Gli attori sono eccezionali. Tutti, a pari merito senza
essere troppo sopra le righe (pur caricando l'interpretazione,
rispettando i canoni di genere), bensì entrando perfettamente nel
personaggio. Sembrano nati per quei ruoli. E sono totalmente al
servizio dei registi che fanno di loro ciò che vogliono.
Ritornando
alla modernità di cui sopra, alcune scene esplicite di passione, di
baci, di sangue, paiono audaci ancora oggi per come vengono mostrati,
quindi un plauso va anche alla sceneggiatura (sempre di Powell e
Pressburger).
Così come è altrettanto geniale lo guardo in camera
della protagonista verso la fine: una sorta di premonizione, che
anticipa quello che avverrà il minuto successivo.
Il finale
raggiunge il culmine di quel patetismo latente che era rimasto
sottotraccia fin dall'inizio (nonché l'apice della tensione).
Un
film coraggioso, visionario, poetico e magico, di enorme impatto
visivo che incanta e coinvolge. Stile, eleganza, classe e perfezione.
Ci si commuove per la troppa bellezza.
Un vero e proprio capolavoro,
un miracolo del cinema.
Tante, tantissime pellicole gli sono
debitrici e, seppur alcune siano dei veri gioielli, non si avvicinano
neanche lontanamente sua alla magnificenza.
Da vedere assolutamente
(in lingua originale e nella versione restaurata). Consigliatissimo.
Voto: *****
Il trailer:
Voi l'avete visto? Cosa ne pensate?
Chiunque volesse prendere le recensioni citi questo blog. Riproduzione riservata
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