lunedì 3 novembre 2014

Il capitale umano di Paolo Virzì, film drammatico tratto dal romanzo omonimo di Stephen Amidon è un bel meccanismo ad olorogeria orchestrato perfettamente. Il cambiamento di genere e di stile ha fatto bene al regista livornese

Prima di parlarvi del film di oggi, vi volevo dire che sto diventando (periodo di prova) curatrice della rubrica sui CULT nel sito JustNews.it. Ovviamente che film potevo scegliere per iniziare questa avventura? Ma Notorious di Alfred Hitchcock, neanche a dirlo!
Perciò vi metto il link direttamente qui. Spero apprezzerete:
Notorious - L'amante perduta. JustNews.it


Adesso passiamo alla pellicola odierna. E' una bella scoperta. Un film drammatico recente (e di successo. Addirittura - ma non vuol dire niente in verità, anche se è indubbiamente un prestigio - è in nomination fra i migliori film stranieri agli Oscar) di un autore che solitamente non apprezzo così tanto ma che qui ha cambiato genere e stile.
Mi riferisco a Il capitale umano di Paolo Virzì.
Ecco la recensione:





Il capitale umano di Paolo Virzì del 2013. Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, Bebo Storti, Matilde Gioli, Guglielmo Pinelli, Giovanni Anzaldo, Gigio Alberti, Silvia Cohen, Federica Fracassi, Pia Engleberth. (109 min. ca.)
Nella provincia lombarda un uomo sta tornado a casa dal lavoro in bicicletta quando viene investito da un SUV. Il conducente non si ferma per soccorrerlo. Comincia così la storia (tratta dal romanzo omonimo di Stephen Amidon) che vede protagoniste le tre famiglie coinvolte con l'incidente.
















Diviso in un antefatto, tre capitoli e un capitolo finale, il racconto viene mostrato da più angolature, da più punti di vista (di Dino, Carla e Serena), perciò cambiano anche i punti di ripresa e viene destrutturato, analizzato e sviscerato nei minimi particolari, tornando indietro da dove si era rimasti dando così continuità all'intreccio delle vicende.
Niente di nuovo sotto il sole, anche come tipolgia di narrazione e tecnica registica, ma sicuramente è una scelta curiosa nel panorama cinematografico nostrano (molto poco italiana bisogna ammettere) e soprattutto per Virzì, sempre così lineare e poco ispirato. Grazie a questo tipo di regia poi, si sono potuti evitare i flashback sempre così macchinosi e a volte scollegati (per quanto concerne sempre il cinema italiano).
Altro pregio è quello di essere uscito dalla Toscana e l'aver saputo gestire - meglio tra l'altro - gli stereotipi del luogo, per quanto l'uso di cliché a volte troppo enfatizzati sia tipico delle opere del regista livornese.
I toni cupi e neri utilizzati, una freddezza - descrittiva del posto tra l'altro, quindi azzeccata - e un maggior distacco (probabilmente vista la base iniziale data dal romanzo) sono elementi nuovi per Virzì e non certo sgraditi e sgradevoli. Un bel cambiamento, una maturazione che non ci si aspetta. Gli attori sono mediocri. Come sempre noi ci dobbiamo distinguere per gli attori cani. O forse è la loro direzione a non essere il massimo. Valeria Bruni Tedeschi, Carla, nonostante qualche guizzo qua e là, è moscia come il suo personaggio (si percepisce che è lei ad esserlo) e la sua voce peggio di quella della Braschi (che se non parlasse non sarebbe neanche male) ma è in parte tutto sommato. Bentivoglio bravo ma troppo macchietta nel ruolo di Dino, un immobiliarista ingenuotto alle prese con investimenti spericolati e alla cieca. Valeria Golino brava ma anche lei senza nerbo (ma cos'hanno queste attrici?), nonostante in alcuni punti non sia così pessima. Gifuni normale, antipatico come dovrebbe essere, nel ruolo di Giovanni Bernaschi, marito borsista ricco ma in crisi per colpa dei risultati degli investimenti. Lo Cascio fa poco per essere giudicato. Più bravi inaspettatamente i giovani. Se Guglielmo Pinelli, Massimiliano Bernaschi, ogni tanto sembra un po' finto, Matilde Gioli che interpreta Serena e Giovanni Anzaldo, Luca, offrono una performance fresca, spontanea e piacevole.
Tutto abbastanza bene, non fosse per la furbizia nell'usare la tecnica di decostruzione e girare intorno alla questione più che risolverla e per i dieci secondi circa finali che stonano con quanto accaduto poco prima. Colonna sonora di Carlo Virzì non incisiva.
Tirando le somme, è un film più sincero rispetto ad altre opere di Virzì (merito sempre del romanzo probabilmente), meno grezzo e più raffinato, interessante, non noioso e più da mercato estero (ed in effetti è una co-produzione). Che volesse puntare in alto già all'inizio? Di premi ne ha vinti (ma li ha sempre presi anche prima) ma la candidatura agli Oscar toglierà - forse - questo dubbio.
Godibile e ben fatto. Da vedere assolutamente (almeno per curiosità). Consigliato.  

«Importi come questo vengono calcolati valutando parametri specifici: l’aspettativa di vita di una persona, la sua potenzialità di guadagno, la quantità e la qualità del suoi legami affettivi. I periti assicurativi lo chiamano il capitale umano.»


Voto: ***1/2







Il trailer:








Voi l'avete visto? Cosa ne pensate? 












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