venerdì 7 dicembre 2018

IN SALA - Bohemian Rhapsody. Film che si sofferma sui primi quindici anni di carriera della famosa band inglese Queen che aveva come frontman il "mito", l'animale da palcoscenico, l'istrionico, Freddie Mercury (nato come Farrokh Bulsara). Un'occasione persa

Salve a tutti. 
Dopo molto tempo rifaccio la mia apparizione per parlare di un film in questi giorni nelle sale, che sta avendo molto successo e critiche sia positive che negative.
Mi riferisco ovviamente "alla pellicola sui Queen" o, per meglio dire, "su Freddie Mercury". Pellicola che ha avuto una produzione travagliatissima, cambiamenti all'ultimo secondo (anche di regia). E alla fine il mischione è stato assicurato.
Quella che trovate sotto non è una recensione canonica e formalmente corretta, ma soltanto un'opinione a caldo (ma che dopo un giorno è rimasta tale, quindi così è, se vi pare :D):







Bohemian Rhapsody di Bryan Singer è un'occasione mancata.
E Rami Malek, checché si dica, non riesce a sostenere il peso di una figura carismatica come quella di Freddie Mercury. Bravo nell'aver riproposto la gestualità e le pose del frontman dei Queen e in alcune scene di averlo reso molto "reale". Ma, oltre ai denti, che sembrava stesse per sputare da un momento all'altro, manca quel qualcosa in più che lui non è riuscito a dare e che il film stesso non è riuscito a supplire (la regia di Singer con l'aiuto soccorso di Dexter Fletcher, non accreditato, è confusa e non riesce ad avere uno stile preciso né prendere una direzione precisa).
Ottimo invece Gwilym Lee nei panni di Brian May, come perfino tutti gli altri.
Poi, mi si corregga, spesso era fuori sincrono e questa è una cosa fastidiosissima da vedere.
Poi gli "errori" voluti di cronologia (chiamiamoli "licenze poetiche" o "forzature narrative", meglio), intollerabili per chi conosce per filo e per segno la storia vera

Punti a favore:

- il modo in cui è stata trattata la sua sessualità e il rapporto con Mary, davvero toccante (e si sa che era così ed anche più di così) anche se è tutto romanzato e poco veritiero. Non hanno mai litigato, ecc...
- La ricostruzione del Live AID (con la pecca di essere fuori sincrono a volte e gli stacchi del montaggio, anche sonoro davvero tagliati con l'accetta).
- In lingua originale la parlata di Freddie con tutti i suoi "darling".
- L'ironia e le molte battute.
- I gatti. 😂😅

Per il resto l'ho trovata una pellicola mediocre, che è rimasta in superficie e se mi ha dato qualcosa, se mi ha fatto esaltare, è soltanto per la colonna sonora (tra l'altro i brani sono stati inseriti e tolti nei momenti sbagliati).
Il Live AID ha fatto commuovere anche me. Anzi, mi è venuto il magone. Ciononostante guardavo Rami Malek e pensavo: "Sì, ma non è Freddie".

Quando sono arrivati i titoli di coda e finalmente è apparso il filmato di repertorio di Don't Stop Me Now sullo schermo si è proprio vista, palesissima, la differenza.
Perdibile.


Voto: **/**1/2







Anyway the wind blows...

mercoledì 6 giugno 2018

La festa prima delle feste di Josh Gordon e Will Speck, commedia demenziale dall'umorismo di bassa lega e dalle trovate trite e ritrite. Kate McKinnon e Jennifer Aniston sono realmente simpatiche però

Oggi vi voglio parlare di un film recente. Un film demenziale piuttosto inutile, ma talvolta simpatico.
Soprattutto per il cast.
Mi riferisco a La festa prima delle feste di Josh Gordon e Will Speck.
Ecco la recensione:






La festa prima delle feste (Office Christmas Party) di Josh Gordon e Will Speck del 2016. Con Jason Bateman, T.J. Miller, Olivia Munn, Jennifer Aniston, Kate McKinnon, Courtney B. Vance, Jillian Bell, Vanessa Bayer, Rob Corddry, Karan Soni, Sam Richardson, Randall Park, Abbey Lee, Matt Walsh, Jamie Chung. (105 min. ca.)
Clay (Miller), dirigente di un'importante filiale di un'azienda informatica, dà una festa natalizia all'interno degli uffici per salvare baracca e burattini e dal licenziamento del personale, previsto dalla sorella, la cattivissima amministratrice delegata Carol (Aniston). Ne succederanno di tutti i colori. 



















Commedia demenziale trash dall'umorismo di bassa lega, piena di stereotipi, che si riprende quando interviene lo humor dalle battute veloci e frizzanti da SNL (Saturday Night Live) ed in particolare quanto entra in scena la grandissima Kate McKinnon. 
Ovviamente anche Jennifer Aniston dà quel giusto apporto di comicità. Il suo personaggio somiglia un po' troppo però, non a Rachel di Friends questa volta, quanto a quello di Come ammazzare il capo.... Ma non fa nulla, la Aniston è sempre piacevole e simpatica qualsiasi cosa faccia. 
Inoltre bisogna ammettere che alcuni momenti fanno realmente - e colpevolmente - ridere. Ma il tutto è annegato da una sceneggiatura poco curata e da una musica truzza troppo presente. 
Un film da vedere essendo consapevoli che si verrà solo intrattenuti. 
Le belle commedie sono altre, ovvio. In lingua originale tuttavia, alcuni giochi di parole sono riusciti per quanto volgari o scontati (l'adattamento italiano, come sempre in questi casi, è sgonfio). 


Voto: *1/2/**




Il trailer:






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mercoledì 30 maggio 2018

Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli, biografia libera ed estrosa su Nico, ex modella e cantante tedesca musa dei Velvet Underground. Un film eccentrico, ben realizzato e con un'ottima protagonista

Oggi vi voglio parlare di un film recente. Il film di una regista italiana che ha realizzato una biografia davvero particolare, su un personaggio sempre avvolto in un certo mistero.
Mi riferisco a Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli.
Ecco la recensione:






Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli del 2017. Con Trine Dyrholm, John Gordon Sinclair, Anamaria Marinca, Sandor Funtek, Thomas Trabacchi, Karina Fernandez, Calvin Demba, Francesco Colella. (93 min. ca.)
Gli ultimi due anni della vita della cantante ed ex modella tedesca Christa Päffgen (Dyrholm), in arte Nico, alla soglia dei cinquant'anni. I tour in posti desolati, la dipendenza dall'eroina, la preoccupazione per quel figlio che ama tanto, ma che pare non voler vivere... 















Biografia anticonvenzionale, stramba, libera, che racconta i fatti realmente accaduti - e ovviamente romanzati - senza seguire uno schema preciso, con un ritmo talvolta più frenetico, talvolta dilatato tra brevissimi flashback e ritorni al presente. 
E decisione migliore non poteva esserci, dato che l'opera coglie l'essenza di un personaggio non soltanto stravagante, ma complesso, pieno di problemi esistenziali e psicologici in bilico tra rinascita e decadenza. 
Il tutto con una fotografia altrettanto particolare, dai colori accesi, una sceneggiatura perfetta. 
E una protagonista, Trine Dyrholm, assolutamente azzeccata nell'interpretare una donna vissuta con struggente intensità: è credibile. Al di là della somiglianza fisica o meno, sembra entrata totalmente nei panni di Nico, colei che fu musa dei Velvet Underground, che apparve ne La Dolce Vita di Fellini; ma anche Christa, la tossicodipendente che allontana tutti, che impreca e vuole prendersi cura del figlio come può. Davvero da applausi la sua performance, nonostante la visione doppiata renda i dialoghi in più lingue piatti, monchi. 
I brani musicali, mai invadenti, fanno da contorno alla semplice storia. 
Finalmente un film biografico non a compartimenti stagni, che non segue pedissequamente ogni minimo particolare, ma che si sofferma concisamente solo su quello che importa davvero. 
Presentato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, ha vinto il Premio Orizzonti come miglior film. Ma ha vinto anche un David di Donatello per la miglior sceneggiatura. 
Da vedere assolutamente. Consigliatissimo.

Voto: ***/***1/2






Il trailer:







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lunedì 21 maggio 2018

IN SALA - Dogman di Matteo Garrone, film drammatico sulla tragedia di un uomo apparentemente mite combattuto tra il bene e il male. Presentato in concorso all'ultima edizione appena conclusa del Festival di Cannes e vincitore, per l'appunto, della Palma d'Oro per il miglior attore: un incredibile Marcello Fonte

Oggi vi voglio parlare di un film in questi giorni nelle sale. Un film italiano - di un autore meraviglioso - che ha partecipato, in concorso, al Festival di Cannes.
Mi riferisco a Dogman di Matteo Garrone.
Ecco la recensione:





 
Dogman di Matteo Garrone del 2018. Con Marcello Fonte, Edoardo Pesce, Alida Baldari Calabria, Nunzia Schiano, Adamo Dionisi, Francesco Acquaroli. (102 min. ca.)
Marcello (Fonte) è un toelettatore di cani e dogsitter nella periferia della Magliana e, nei tempi morti, spacciatore di cocaina. Separato, con una figlia, è esasperato da Simone (Pesce), il delinquente del posto che lo sfrutta e lo manipola a suo piacimento, immischiandolo in una rapina che avà conseguenze estreme. 







Il film drammatico presentato in concorso al Festival di Cannes è l'ultimo gioiello di Matteo Garrone. 
Gioiello poiché con semplicità incredibile riesce a realizzare un'opera stratificata ricca di spunti di riflessione e chiavi di lettura. Il Delitto del Canaro, fatto di cronaca agghiacciante e noto, è soltanto lo spunto per raccontare di un uomo che cerca di sfuggire dalla quotidianità fatta di desolazione. 
Lui, un ometto ridicolo agli occhi di molti, che sembra così docile all'apparenza, quasi un bambino innocente (a parte lo spaccio di droga a cui si dedica), più mite e innocuo dei cani che tanto ama, ma che - dopo aver troppo subito - si ritrova ad usare la violenza per farsi valere, per riuscire ad avere un futuro, un'esistenza lì o fuori di lì. 
Il senso di non appartenenza al luogo (e il regista è sempre un maestro nel saper ricreare le suggestioni. In aiuto arriva anche la magnifica fotografia di Nicolaj Brüel), di tristezza, di solitudine è reso con grande forza narrativa e visiva, da lasciare impietriti e sbalorditi. 
E lo stesso Marcello Fonte - vera e propria "maschera" pasoliniana - vincitore della Palma D'Oro come miglior attore, è stato altrettanto incredibile nel dare vita ad un personaggio tanto complesso quanto la sua storia (la sceneggiatura è perfetta: soltanto con un grande copione - e una regia attenta - un attore poteva riuscire in questa impresa): è Marcello, è entrato completamente nella parte. 
Gli ultimi minuti sono di pura poesia: Fonte e Garrone sono in simbiosi per rappresentare un uomo alla deriva, perduto, in balìa di se stesso e delle scelte che ha preso, combattuto tra il bene e il male, la violenza e magari una vita nuova e la giustizia ma il continuare a sopravvivere in un posto che nulla aveva da offrirgli se non miseria. 
Crudo, pieno di scene forti (non sui cani. Ossia, è presente una scena particolarmente indigesta che tuttavia al contempo è positiva), verosimile, riporta alla mente il primo acclamato successo del regista, L'imbalsamatore* (ed è dunque un grande ritorno dopo l'irrisolto Il Racconto dei Racconti*), per atmosfere cupe, colori, toni (qui però non surreali o sospesi se non in alcuni frangenti). Un neorealismo reinventato, dallo stile minimale, essenziale con l'ambiente e il protagonista che dicono tutto. 
Un film potente e toccante, un vero pugno allo stomaco, dolente come pochi altri, dal ritmo sempre teso addirittura in crescendo, con una fine che lascia sgomenti, atterriti, depressi. 
Ed è un'opera che si sedimenta, lavora dentro, strugge lo spettatore. 
Garrone è uno dei migliori registi italiani contemporanei, un autore che sa parlare dei luoghi e dei protagonisti in cui colloca le vicende quasi come se non ci fossero filtri. 
Questo è grande cinema. 
Da vedere assolutamente (aspettandosi tutto e il contrario di tutto). Consigliatissimo.

*Mia recensione
Voto: **** 







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venerdì 18 maggio 2018

Delicatessen di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro, commedia grottesca stranissima, nonsense, colorata (ma al contempo cupa) e fantasiosa con una regia puntuale e degli attori in parte

Oggi vi voglio parlare di un film di parecchi anni fa. Un film francese di un autore molto amato (e detestato al contempo forse). Qui insieme ad un altro regista.
Mi riferisco a Delicatessen di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro.
Ecco la recensione:





 
Delicatessen di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro del 1991. Con Dominique Pinon, Marie-Laure Dougnac, Jean-Claude Dreyfus, Karin Viard, Ticky Holgado, Anne-Marie Pisani, Edith Ker, Rufus, Jacques Mathou, Howard Vernon, Chick Ortega, Silvie Laguna, Jean-François Perrier. (99 min. ca.)
In Francia in un'epoca imprecisata e in un luogo imprecisato, svetta un palazzo decadente che ospita anche la macelleria "Delicatessen" di Clapet (Dreyfus), uno degli inquilini. Andrà ad abitare in quel luogo orrido anche un ex acrobata e tuttofare, Luison (Pinon), che si innamora della figlia di Clapet, Julie (Dougnac). 



















Commedia grottesca/sentimentale ricca di invenzioni, trovate nonsense divertenti e strampalate. 
Contraddistinto da una fotografia ricercata che vira sui toni del giallo, del verde, del marrone, abbinata alle scenografie che a loro volta - o viceversa - si abbinano ai costumi, è un'opera da ritmo sempre costante, che sorprende e spiazza. 
La regia è puntuale: ogni cosa sembra al suo posto e ogni effetto sembra voluto e studiato. 
Ma ciò non è un difetto perché riesce comunque a sembrare un film libero e bizzarro, con una perfetta costruzione narrativa (passa dal grottesco più violento - ma cartoonesco - alla dolcezza più misurata e innocente) e ambientale, con dei personaggi stupendi e ben caratterizzati che sembrano venire realmente da un altro mondo. 
Tutti gli attori sono bravissimi e hanno la faccia giusta, il piglio giusto. Ovvio che i tre protagonisti (soprattutto Pinon, attore feticcio di Jeunet) siano al di sopra. 
Prima di Amélie ma più simpatico e meno furbetto rispetto a quest'ultimo. Ispiratore, evidentemente per alcune scene, dell'ultimo acclamatissimo e meraviglioso film di Guillermo Del Toro La forma dell'acqua*. 
Da vedere assolutamente. Consigliatissimo. 

*Mia recensione
Voto: ***1/2 




Il trailer:






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