lunedì 30 aprile 2018

IN SALA - Loro 1 di Paolo Sorrentino, le vicende - soprattutto personali - di Silvio Berlusconi e di chi ruota intorno a "Lui". Surreale, grottesco, ironico. Un mix irresistibile e strafottente quanto basta

Oggi vi voglio parlare di un film nelle sale in questi giorni. Un film di un regista amato/odiato che fa sempre discutere (in questo caso di più, visto l'argomento e il protagonista).
Mi riferisco a Loro 1 di Paolo Sorrentino.
Ecco la recensione:






Loro 1 di Paolo Sorrentino del 2018. Con Toni Servillo, Elena Sofia Ricci, Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak, Euridice Axen, Fabrizio Bentivoglio, Roberto De Francesco, Dario Cantarelli, Anna Bonaiuto, Giovanni Esposito, Ugo Pagliai, Ricky Memphis, Lorenzo Gioielli, Alice Pagani, Caroline Tillette, Pasqualina Sanna, Gigi Savoia, Benedetta Mazza. (104 min. ca.)
Le vicende romanzate, soprattutto personali, di Silvio Berlusconi nel periodo dell'apice del successo politico e pre-divorzio da Veronica Lario e tutti i personaggi che gli ruotano attorno. 
Primo capitolo di un film in due parti (il secondo uscirà a breve distanza, tra pochissimo: il 10 maggio) che ovviamente ha creato molte aspettative e continua a far discutere nel bene o nel male. Piace o non piace, come tutti i film del regista. 
Eppure qui, per onestà intellettuale, è necessario ammettere che lo stile surreale e grottesco di Sorrentino si coniuga perfettamente con la figura macchiettistica e involontariamente comica di Silvio Berlusconi (anche nella realtà) con un Toni Servillo caricaturale e istrionico. 
Ecco allora che il Paolone nazionale può abbondare e sbizzarrirsi in tutto ciò che altrimenti potrebbe apparire eccessivo: non solo nell'esibizione di nudi e in scene forti di sesso e sniffate di coca, altresì nel rendere Berlusconi e i suoi colleghi, amici, ecc... patetici, irritanti, con battutine ad effetto (e da Silvio e compagnia ce le si aspetta, si sa), situazioni iperboliche non così tanto distanti dalla realtà se si toglie quel di più. Inoltre, in questo caso, Sorrentino diventa ancora più ironico, sbeffeggia tutto e tutti non prendendo come modello Fellini, ma puntando ad altro, a qualcosa di internazionale, citando apertamente The Wolf of Wall Street* di Scorsese (il personaggio di Sergio Morra - interpretato da Riccardo Scamarcio - è palesemente ispirato al quello di Di Caprio, soprattutto nella scena della festa con piscina). Scorsese che incontra Fellini - i simbolismi abbondano ancora. Che vorranno significare la pecora infreddolita che apre l'opera? Oppure il rinoceronte che corre per le strade di Roma? - in un vortice inarrestabile. Sì, a differenza di altri suoi lavori dai tempi dilatati, il ritmo è frenetico, il montaggio è sincopato (e un uso massiccio del ralenti), con una fotografia eccezionale del sempre grandissimo Luca Bigazzi, una composizione dell'immagine da far rimanere senza parole. Le musiche abbinate alle immagini sono puntuali e ricche di pathos. Se anche alcune situazioni risultano a tratti telefonate (la scena di sesso tra Kira e Sergio mentre lei è al telefono con "Lui". Tra l'altro la maggior parte dei nomi di ministri, escort, ecc... sono stati cambiati) ed altre piene di autocompiacimento, ogni cosa ha un suo senso, è studiata e pensata per essere così come viene mostrata: c'è una ricerca dell'estetica e del bello anche nel mostrare i suddetti corpi nudi. Plastici, patinati e una coreografia che lascia stupefatto lo spettatore. 
Gli attori sono mediocri (a parte Servillo, maschera tutta sorriso e capelli laccati ed una Elena Sofia Ricci meno macchinosa di quanto è nelle fiction) ma funzionali alla trama. 
Un film che sicuramente provoca e risulta talvolta arrogante, sopra le righe. Normale non piaccia a mettiamo un 50% del pubblico. Eppure Sorrentino si è evoluto e dopo la meravigliosa serie The Young Pope si dimostra più libero da schemi e convenzioni. 
Probabilmente questo è il suo miglior film. Tuttavia bisogna aspettare la seconda parte: nulla si deve dare per scontato e un finale poco solido e non soddisfacente potrebbe sminuire quello che di buono è presente in questa pellicola (e cioè tutto). 
Una “Grande Bellezza” tra Roma, e la Sardegna. 
Da vedere assolutamente. Consigliatissimo. 

*Mia recensione
Voto: ***1/2/**** (Da rivedere) 






Voi l'avete visto? Cosa ne pensate?












 
  
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lunedì 16 aprile 2018

La ruota delle meraviglie - Wonder Wheel di Woody Allen, melodramma metateatrale/metacinematografico con spunti interessanti. Fotografato magnificamente ed interpretato in maniera divina da una Kate Winslet ai suoi massimi livelli

Dopo tanto tempo, oggi vi parlerò di un film. Un film recente scritto e diretto da un regista molto amato (ma anche, di nuovo discusso per uno scandalo ormai del passato, che Hollywood non vuole seppellire).
Mi riferisco a La ruota delle meraviglie - Wonder Wheel di Woody Allen.
Ecco la recensione:






La ruota delle meraviglie - Wonder Wheel (Wonder Wheel) di Woody Allen del 2017. Con Kate Winslet, Justin Timberlake, Juno Temple, Jim Belushi, Jack Gore, Tony Sirico, Steve Schirripa, Max Casella, David Krumholtz. (101 min. ca.)
Anni '50. Ginny (Winslet) è una cameriera insoddisfatta e attrice mancata che vive in un appartamentino sopra la giostra panoramica Wonder Wheel a Coney Island con il marito alcolizzato e manesco Humpty (Belushi) e il figlioletto piromane Richie (Gore), avuto dal primo marito. La sua vita sembrerà cambiare all'improvviso un'estate, quando inizia un flirt con il bagnino Mickey (Timberlake) e nel contempo la figlia di Humpty, Carolina (Temple), tornerà dal padre inseguita dagli scagnozzi di suo marito gangster. 


























Dramma che gioca tutto sul metateatro e il metacinema con l'abbattimento della quarta parete (ad esempio il personaggio di Mickey è voce narrante e parla in camera allo spettatore) sia con il linguaggio in senso stretto che cinematografico e registico (il botta e risposta dei dialoghi, senza accavallarsi, i monologhi o soliloqui, la macchina da presa che gioca con i piccoli spazi - a parte qualche scena di ampio respiro, in spiaggia, simbolo della voglia di cambiamento delle donne protagoniste - come se stesse riprendendo un vero e proprio spettacolo teatrale, spesso con l'uso del grandangolo). Ma non lo è anche la vita?
Allen mette in piedi un melodramma anni '50 (viene citato O'Neill e Mickey vuole diventare un commediografo, tutto torna) e usa la staticità dell'ambientazione e dei fondali per mettere in risalto l'assoluta mediocrità e immobilità nelle quali vivono i personaggi.
Personaggi illusi, delusi, traditi mille volte e maltrattati. Caratterizzati perfettamente, tanto che si percepisce lo struggimento, la caduta nel baratro mano a mano che la pellicola prosegue.
Si sorride talvolta amaramente per gli elementi tragicomici e infausti.
Una serie di sfortunate coincidenze che mettono a dura prova questi disgraziati.
Dalle eccezionali scenografie, dalla sublime fotografia di Vittorio Storaro che mette in risalto le luci e le ombre con dei colori vivacissimi o freddissimi e una composizione dell'immagine che lascia letteralmente senza parole (come nel precedente Café Society* del resto, ma qui ancora più centrato), con le canzoni jazz altrettanto allegre in contrasto con la desolazione (per non parlare dell'ambientazione, ossimorica allo stato d'animo ed esistenziale dei protagonisti), lo stordimento di un finale pessimista - addirittura nichilista - che raggela e sconvolge sottilmente. Tutto cambia per non cambiare?
Espressiva ed inquieta June Temple, eterna bambina (un po' Sandra Dee, un po' Blanche DuBois/Vivien Leigh), davvero perfetta nel ruolo della "pupa del gangster" pentita. Jim Belushi, appesantito e invecchiato è entrato nel ruolo con una facilità inimmaginabile: davvero in gamba. Justin Timberlake, fa il suo compitino, funziona. Ma chi ha la meglio, chi regala la miglior performance (forse addirittura di tutta la sua carriera) è ovviamente Kate Winslet, che si mette totalmente al servizio del regista che la studia, la riprende in tutte le angolazioni e grazie alla suddetta fotografia quasi la trasfigura, facendola sembrare sciatta o bellissima, giovane o vecchia a seconda della scena. E lei ci mette tutta se stessa, sembrando realmente uscire da una pièce teatrale: così diva, eppure così normale. Un'interpretazione da applausi.
Un film che non ha avuto i riconoscimenti che meritava (per colpa dello "scandalo" su Woody Allen di nuovo portato alla ribalta dal movimento hollywoodiano "MeeToo" contro la violenza sulle donne, diventato da subito ipocrita patetico e opportunista), ricco com'è di spunti e di lampi di genialità. Allen dimostra ancora di avere uno sguardo acuto, cinico e lucidissimo sulla realtà (un ottantenne, ricordiamolo), di saper rinnovarsi. La storia in sé potrebbe sembrare banale, tuttavia è la messa in scena ad essere incisiva. È anche vero che probabilmente siamo lontani dai suoi veri capolavori, eppure non è certo uno scherzo rileggere e travalicare i generi in chiave moderna, sperimentando (si ricordi, di nuovo, che è un ottantenne) e spiazzando bruscamente lo spettatore con un finale che lascia giustamente basiti. Intenso.
Da vedere assolutamente (in lingua originale. Non serve spiegarne i motivi). Consigliatissimo.

*Mia recensione
Voto: ***




Il trailer:







Voi l'avete visto? Cosa ne pensate?













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