domenica 25 giugno 2017

Song to Song di Terrence Malick. Triangoli amorosi, esistenze vuote per un film che gira su se stesso ma - a tratti - suggestiona. Cast sprecato. In parte quasi esclusivamente Rooney Mara

Oggi vi voglio parlare di un film appena uscito nelle sale. Un film di un regista/autore - di grandi cult - che divide sempre, ultimamente, pubblico e critica.
Mi riferisco a Song to Song di Terrence Malick.
Ecco la recensione:





Song to Song di Terrence Malick del 2016. Con Michael Fassbender, Ryan Gosling, Rooney Mara, Natalie Portman, Cate Blanchett. (129 min. ca.)
Austin, Texas. Triangoli amorosi ambientati nel mondo effimero e superficiale della musica. Forse però il vero amore vincerà. 

































Film drammatico/sentimentale. Begli ambienti (sia interni che esterni), ottimo montaggio, fotografia impeccabile - come al solito - di Lubezki, colonna sonora peculiare - com'era auspicabile - riprese "casuali" in un clima sospeso. 
I protagonisti fanno cose, vedono gente, bighellonano senza meta o quasi, si sdraiano, si bagnano i piedi nell'acqua, si aggrappano alle tende guardando fuori dalle finestre, fanno l'amore vestiti (tranne in una scena), in un vuoto, in una ricerca di successo e di serenità nella vita privata. 
Peccato però che i personaggi siano abbozzati, non abbiano - volutamente, come negli ultimi lavori del regista - una profondità e lo spettatore non potrà così provare nessuna empatia e si limiterà a guardare con freddo distacco le loro vicissitudini. 
Le varie relazioni (con telefonatissimi tradimenti su tradimenti) sono prevedibili, così come banali alcuni cliché (ad esempio Rooney Mara la quale, nel momento di transizione e smarrimento dopo essersi lasciata con quello che dovrebbe essere il suo grande amore, ne inizia una superficiale lesbo). Cast ricchissimo che pare non essere al meglio (dev'essere difficilissimo lavorare con Malick, entrare nella sua poetica, capire effettivamente cosa voglia dire). Comunque è proprio Rooney Mara ad integrarsi meglio con i toni dell'opera. È così eterea, sfuggente, fragile, delicata e dà tutta se stessa. Balla, ride a crepapelle e come voce narrante funziona: è molto suadente e magnetica e riesce a dare quel qualcosa in più. Bravino anche Ryan Gosling. Funziona anche Michael Fassbender nei panni di un mefistofelico produttore. Deludente Cate Blanchett: il suo personaggio, che ha una storiella con quello di Gosling, è trattato en passant e risulta artefatto all'estremo. 
I camei come quelli di Patti Smith, Iggy Pop e altri, lasciano altrettanto a desiderare (addirittura Florence Welch che compare tra i primi della lista nei titoli di coda, si intravede da lontano un paio di volte). 
Continuo naturale di Knight of Cups* (per il tipo di quadrature, per la costruzione narrativa, il tema del conflitto/confronto col padre e la madre) però più bilanciato, meglio strutturato, è un film che si fa amare e odiare in contemporanea per il continuo girare su se stesso, ma che purtuttavia rappresenta chiaramente la perdizione della vita mondana e la voglia di ritornare ai veri valori, alle cose essenziali, come il vivere d'amore senza compromessi. 
Questo ottimismo imprevedibile fa ben sperare. 
Sperimentale? Sì. E Malick si fa riconoscere, nel bene e nel male: il suo stile è inconfondibile. Affascina questa inafferrabilità delle cose. 
Da vedere per curiosità. Consigliato a metà. 


Voto: **1/2








Voi l'avete visto? Cosa ne pensate?












Chiunque volesse prendere le recensioni citi questo blog. Riproduzione riservata

Nessun commento:

Posta un commento