Mi riferisco a Safe di Todd Haynes.
Ecco la recensione [ATTENZIONE, immagini SPOILER]:
Safe di Todd Haynes del 1995. Con
Julianne Moore, Peter Friedman, Xander Berkeley, James LeGros, Susan
Norman, Kate McGregor-Stewart , Mary Carver, Steven Gilborn, April
Grace, Lorna Scott, Jodie Markell, Brandon Cruz, Dean Norris, Jessica
Harper. (119 min. ca.)
Carol White (Moore) è una donna benestante. Una comune
casalinga che vive nella sua bella casa tutta ben arredata con il
marito Greg (Berkeley). Le sue uniche preoccupazioni sono le cene e i
pomeriggi con le amiche. Un giorno qualcosa cambia: Carol comincia a
sentirsi stanca, ad avere attacchi d'asma, a non sopportare più lo
smog cittadino, detersivi, ecc... In pratica è affetta da quella che
viene chiamata sensibilità chimica multipla, scambiata spesso per
suggestione. Arriverà ad abbandonare tutto per trasferirsi a
Wrenwood, una sorta di comunità new age (ma a sfondo religioso) che
si trova in una zona deserta dell'America.
Film (indipendente)
drammatico che fin dall'inizio mostra qualcosa di stridente, di
oppressivo (la straniante, bizzarra e volutamente imbarazzante scena
di sesso di Carol con il marito), di malato. Questa sensazione
strisciante aumenta via via sempre di più, per arrivare ad un finale
assolutamente agghiacciante.
Agghiacciante perché non dà risposte
ed è freddo come quella sorta di igloo nel quale vive la sempre più
emaciata protagonista. una donna che si spoglia totalmente di quanto
aveva e di ciò che era, come se il male fosse nella sua esistenza
tanto frivola e materiale.
Eppure le cose non cambiano davvero. Che
le sia davvero servito abbandonare anche gli affetti più cari per
rifarsene altri (completamente artificiali)? Che non sia proprio
quella la vera follia? Todd Haynes, al suo secondo lungometraggio,
dimostra di avere una sensibilità fuori dal comune e un gusto, un
senso della misura realmente impeccabili (caratteristica visibile
anche in tutte le altre sue opere seguenti, del resto) sia come
regista che come sceneggiatore.
Non era facile parlare di un
argomento così delicato senza scadere nel ridicolo. Lui è riuscito
ad avere quella lucidità ed intelligenza per raggirare l'ostacolo.
Colpisce soprattutto l'attenzione anche ai più piccoli particolari,
sia per quanto riguarda la direzione degli attori, che per quanto
concerne i movimenti di macchina. Lentissimi, ponderati, mai
superflui, assolutamente coerenti con quel senso di asfissia e di
pesantezza che respirano sia Carol che lo spettatore (e quel senso di inadeguatezza e di estraneità che prova lei durante la degenza al centro). Carol, una
Julianne Moore già allora straordinaria. Todd Haynes non poteva
trovare un'attrice migliore di lei (poi diventerà la sua attrice "feticcio"). Un'interpretazione bilanciata (in
linea con lo stile e i toni della pellicola), sofferta, interiore e
non soltanto fisica. Ambigua e allo stesso tempo posata ed elegante.
Impeccabile. Bravi anche gli altri. Soprattutto Peter Friedman che
interpreta Peter Dunning, il capo dell'organizzazione e del centro e
sorta - come succede spesso in questi casi - di guru.
Ottima
l'ambientazione desolata della seconda parte in pieno contrasto con
il lusso della prima. Fantastica anche la fotografia, con un uso
tutto creativo di luci ed ombre (qui non c'è l'apporto del fido Ed
Lachman ma Alex Nepomniaschy. Eppure le indicazioni di Haynes hanno
dato buoni frutti). Montaggio perfetto. Colonna sonora adeguata.
Un
film particolare, fuori dagli schemi e realmente inquietante perché
asettico, brutale, misterioso e impenetrabile. Una “pacchia” per
gli ipocondriaci.
Meriterebbe di essere conosciuto di più.
Da vedere
assolutamente. Consigliatissimo.
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