domenica 30 novembre 2014

Black Dahlia di Brian De Palma, tentativo maldestro di rifare il genere gangster/poliesco. Cast sbagliato, sceneggiatura piena di voragini, situazioni e dialoghi al limite del ridicolo. Occasione sprecatissima

Oggi vi voglio parlare di un film di un autore che stimo che qui mi ha veramente deluso. Lui è solito prendere i generi classici e modernizzarli o quantomeno farli suoi. Ma qui il risultato è pessimo.
Mi riferisco a Black Dahlia di Brian De Palma.
Ecco la recensione:






Black Dahlia (The Black Dahlia) di Brian De Palma del 2006. Con Josh Hartnett, Scarlett Johansson, Aaron Eckhart, Hilary Swank, Mia Kirshner, Mike Starr, Fiona Shaw, Rose McGowan. (121 min. ca.)
Nel 1947 a Los Angeles, Bucky Bleichert (Hartnett) e Lee Blanchard (Eckhart), due ex pugili e colleghi in polizia, devono indagare sull'omicidio di Elizabeth Short, soprannominata "Dalia Nera", giovane attrice, il cui corpo è stato trovato sfigurato. Si contenderanno anche la stessa donna, Kay Lake (Johansson).























Tratto dal romanzo Dalia Nera di James Ellroy e ispirato dal vero omicidio della Short, è un tentativo di riportare in voga il noir, genere che viene spesso parodiato o trattato in modo superficiale. In questo caso malriuscendoci.
La trama è giustamente contorta (anche i noir di un tempo lo erano ma non davano a vederlo, l'atmosfera e il carisma degli attori facevano il resto) ma ha un doppio finale che annoia, la sceneggiatura è parecchio fallace, i dialoghi e le situazioni al limite del ridicolo e gli attori completamente fuori parte.
Hartnett è monoespressivo anche quando piange, Eckhart è forse più in gamba ma si vede pochissimo, Scarlett Johansson sembra imbambolata e non graffia come pupa. Stessa cosa per Hilary Swank, non credibile nel ruolo della fatalona.
Un disastro. De Palma pur impegnandosi non riesce a coinvolgere neanche con la regia che rimane piuttosto anonima e anch'essa è poco incisiva.
Non basta l'ambientazione e la fotografia invecchiata a farne un buon film.
Occasione sprecatissima per il solitamente valido regista.
Dimenticabile. Da vedere solo per curiosità.


Voto: **










Il trailer:








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sabato 29 novembre 2014

Cloud Atlas di Lana e Andy Wachowski e Tom Tykwer, sei storie in sei epoche diverse si intrecciano. Fantascienza, new age, grottesco in un mix male assortito con morale scontata

Oggi vi voglio parlare di un film piuttosto recente che mi ha deluso moltissimo. Non che mi aspettassi chissà cosa ma speravo in un risultato migliore.
Mi riferisco a Cloud Atlas di Lana e Andy Wachowski e Tom Tykwer.
Ecco la recensione:




 
Cloud Atlas di Lana e Andy Wachowski e Tom Tykwer del 2012. Con Tom Hanks, Hugh Grant, Halle Berry, Jim Broadbent, Hugo Weaving, Jim Sturgess, James D'Arcy, Ben Whishaw, Bae Doona, Susan Sarandon, Keith David. (173 min. ca.)
Sei storie in epoche diverse si intrecciano e si somigliano.




















I Fratelli Wachowski, manco a dirlo, dirigono quelle nel futuro, Tom Tykwer quelle nel '30 e '70. Il risultato è discontinuo nonostante l'uso massicio del montaggio e la storia abbia un senso: ossia che tutto si ripete, che gli uomini vivono più vite - quindi si parla di reincarnazione - e che le decisioni prese avranno ripercussioni sulle vite future.
Il collegamento con l'universo, la new age, le discipline orientali, il ribellarsi alle regole, si mescolano in un potpourri male assortito in cui ad esempio, l'episodio con Jim Broadbent che interpreta l'anziano editore britannico Timothy Cavendish, il quale, per un piano del fratello, finisce in una casa di riposo, ha un umorismo grottesco che non si amalgama e addirittura stride con il resto. Il finale della vicenda, poi, è quanto di più banale si potesse trovare.
Ed è proprio la prevedibilità a farla da padrona: il gioco si capisce fin da subito e, pur con l'impegno - sprecato, soprattutto per alcuni - messo dagli attori (tutti caricaturali e quasi da fumetto), nonostante alcuni momenti di tensione, la cura della messa in scena e delle scenografie, il risultato è qualcosa di troppo superficiale.
Sono presenti molta violenza fine a se stessa ed elementi che davvero non stupiscono, che sanno di déjà vu.
La sceneggiatura è esile (ma probabilmente è colpa anche del romanzo da cui è tratto, L'atlante delle nuvole di David Mitchell).
Un peccato perché c'erano tutte le premesse per un film accattivante e intelligente. Non che non coinvolga ma lunghezza non è ripagata.
Da vedere solo per curiosità. Trascurabile.


Voto: **/**1/2









Il trailer:










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giovedì 27 novembre 2014

Un cuore in inverno di Claude Sautet, film sentimentale su un amore mai nato e l'incapacità di vivere liberamente le emozioni. I tre protagonisti sono bravissimi (Auteuil su tutti), la regia è solida ed elegante, la sceneggiatura è perfetta. Gioiellino

Oggi vi voglio parlare di un film sentimentale/drammatico di qualche anno fa realizzato benissimo e recitato altrettanto (soprattutto dal protagonista). Una pellicola in cui tutto fila perfettamente.
Mi riferisco a Un cuore in inverno di Claude Sautet.
Ecco la recensione:




 
Un cuore in inverno (Un coeur en hiver) di Claude Sautet del 1992. Con Daniel Auteuil, Emmanuelle Béart, André Dussolier, Maurice Garrel. (115 min. ca.)
Maxime (Dussolier) e Stéphane (Auteuil) sono due liutai. Maxime, lascia la moglie per Camille (Béart), una giovane e affascinante violinista. Stéphane e Camille cominciano a vedersi (inizialmente insieme a Maxime) per un problema al violino e si reincontrano (è lei a fare il primo passo e a cercarlo) varie volte. Stéphan è un uomo criptico, molto chiuso ma sembra essersi innamorato di Camille: c'è intesa, complicità e lo sguardo dice tutto. Quando lei gli annuncia di provare qualcosa, lui afferma che il suo era solo un gioco: voleva solo riuscire a conquistarla.


























Ispirata a alla novella La principessina Mary contenuta in Un eroe del nostro tempo (1840) di Lermontov, è una pellicola intimista, molto passionale ed al contempo delicata, che racconta una storia di un amore mai nato, la struggente delusione del non essere ricambiati e quella di un uomo egoista, arido, incapace di vivere liberamente le proprie emozioni e i propri sentimenti (neanche di amicizia), essendo molto controllato e riservato.
Tutti e tre i protagonisti (Auteuil è una garanzia) sono bravissimi e riescono a lavorare sul non detto solo con l'espressione facciale.
Diretto perfettamente, sceneggiato altrettanto, è un film pieno di ritmo cadenzato, la situazione narrata appare credibile e coinvolgente nonostante sia palesemente romanzata.
Non cade mai nella volgarità o nell'ostentazione anche nelle scene dei litigi: il contegno, la misura, la classe sono altri punti di forza.
La musica di Ravel rafforza e descrive le emozioni di Camille e dei due uomini.
Vincitore di moltissimi premi - anche a Venezia -, è un gioiellino da vedere assolutamente. Consigliatissimo.


Voto: ***1/2/****







Il trailer:








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