sabato 30 aprile 2016

The Turning di registi vari, film a episodi (anzi, veri cortometraggi) basati su una raccolta di racconti brevi di Tim Winton e ambientati in Australia. Tutto è in effetti australiano: la produzione, gli attori, ecc... Il risultato è altalenante con qualche momento felice. L'episodio diretto da Mia Wasikowska e quello interpretato da Cate Blanchett

Oggi vi voglio parlare di un film recente. Un film ad episodi, veri e propri cortometraggi a sé stanti.
Il risultato è altalenante per qualità e interesse.
Mi riferisco a The Turning di registi vari.
Ecco la recensione:





The Turning di registi vari, tra cui gli attori Mia Wasikowska e David Wenham, del 2013. Con Cate Blanchett, Richard Roxburgh, Callan Mulvey, Mirrah Foulkes, Rose Byrne, Miranda Otto, Myles Pollard, Matt Nable, Dan Wyllie, Harrison Gilbertson, Susie Porter, James Fraser, Hugo Weaving. (180 min. ca.)
Film composto da diciotto episodi basati su una raccolta di racconti brevi di Tim Winton (dal titolo omonimo). 
















Progetto particolare e ambizioso: questi cortometraggi sono molto diversi tra loro ma tutti accomunati dall'ambientazione australiana (come la produzione, i registi, il cast) e le vicende dolorose che devono passare i protagonisti (quasi sempre si parla di alcolismo). 
Purtroppo però, il cambiamento di stile e il sali e scendi della qualità tra regista e regista, porta anche un effetto spiacevole che ricade sull'attenzione dello spettatore che arriverà piuttosto sfiancato alla fine delle tre ore. 
I migliori episodi sono probabilmente quelli della Wasikowska (Long, Clear View) e di Simon Stone (Reunion). 
Il primo ha una grande sensibilità, anche dal punto di vista registico, per l'appunto, non sembra girare a vuoto come gli altri. Ottimo esordio dietro la macchina da presa per la brava e giovanissima Mia. 
Il secondo ha dalla sua parte una Cate Blanchett come sempre magnetica che offre una performance - seppur breve - ricca di sfumature. Tra l'altro, doveva essere lei a dirigerlo, ma poi ha preferito affidarsi a Stone (che però pare leggermente spaesato). Comunque la sceneggiatura è di suo marito, Andrew Upton. Questo episodio poi è di rottura perché sa ridere delle disgrazie, sa cogliere l'ironia delle cose (si svolge a Natale e Vic - Richard Roxburgh - e Gail Lang hanno invitato la madre di lui a pranzo. Per una serie di motivi si ritrovano nel giardino di alcuni vecchi parenti, dice l'anziana, che addirittura si tuffa in piscina e Gail con lei. Purtroppo però la casa non è quella giusta....). Insomma, si ridacchia piuttosto amaramente (anche qui si parla dei problemi di alcolismo del padre di Vic e della madre della donna). Interessante, anche se fin troppo breve per andare a fondo della questione. Un peccato. 
Il resto è piuttosto evanescente, poco incisivo anche se l'impegno c'è. Inoltre si scimmiotta lo stile di altri registi (uno su tutti Malick) senza riuscire ad equipararli e dei bravissimi attori sono sfruttati male: Miranda Otto e Hugo Weaving ad esempio. 
Bizzarro. 
Da vedere per curiosità. Consigliato a metà. 


Voto: **1/2






Il trailer:






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venerdì 29 aprile 2016

CULT anni '80 - Christiane F. - Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino di Uli Edel, film drammatico sui giovani tossicodipendenti nella metà degli anni '70 a Berlino. Crudo, disturbante, nauseante: arriva al dunque e non gira intorno al tema. Bravi gli attori protagonisti, tutti minorenni. Colonna sonora del grandissimo David Bowie (che compare come cameo)

Oggi vi voglio parlare di un film ormai di parecchi anni fa. Un film simbolo - purtroppo o per fortuna - simbolo di una generazione allo sbando.
Mi riferisco a Christiane F. - Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino di Uli Edel.
Ecco la recensione:





Christiane F. - Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (Wir Kinder vom Bahnhof Zoo) di Uli Edel del 1981. Con Natja Brunckhorst, Thomas Haustein, Christiane Reichelt, Jens Kuphal, Rainer Woelk, Jan Georg Effler, Daniela Jaeger, Kerstin Richter, David Bowie. (125 min. ca.)
Metà degli anni '70. La quasi quattordicenne Christiane F., figlia di genitori separati (la sorella più piccola va a vivere con il padre, lei rimane con la madre che ha un compagno), comincia a frequentare brutte compagnie nella discoteca Sound e soprattutto inizia a prendere confidenza con varie droghe. Ben presto, dagli acidi passerà all'eroina, spalleggiata anche dal suo fidanzatino Detlef (Haustein). Arriverà perfono a prostituirsi (come Detlef fa già, del resto) per procurarsi i soldi per la droga. Venirne fuori sembrerà quasi impossibile - nonostante un primo tentativo, poco convinto in realtà - ma ci riuscirà. 
































Film drammatico tratto dal libro omonimo (sorta di autobiografia, raccolta di interviste) della stessa Christiane F. (Christiane Vera Felscherinow). 
Molto legato al contesto, all'ambiente e figlio di quegli anni, ha un forte impatto ancora oggi. Ingiustamente accusato di spettacolarizzare l'uso di droghe e di essere addirittura di cattivo esempio per i giovani, è invece importantissimo e di enorme lezione contro l'assunzione di sostanze stupefacenti. 
Girato in modo molto realistico, è crudo, ha scene esplicite, mostra i fatti in maniera brutale, senza girarci troppo. Siringhe piantate sulle braccia, sul collo, sangue che schizza, vomito, crisi d'astinenza ("cold turkey"): Uli Udel non si fa problemi a rappresentare le cose come stanno, soprattutto coinvolgendo dei minorenni (nella finzione, ma anche nella realtà). 
Inoltre mostra il degrado delle zone intorno alla stazione di Berlino (le comparse erano veramente dei tossici), gli effetti devastanti della dipendenza, la mancanza di valori familiari e di vere figure genitoriali capaci di occuparsi dei figli. 
Insomma, pare assurdo che siano state rivolte tante critiche di quel genere: basterebbero soltanto piccoli stralci dell'opera per scoraggiare chi vorrebbe anche solo avvicinarsi a quel mondo. 
Gli attori, a parte le comparse, sono presi dalle scuole e Natja Brunckhorst - che aveva davvero quattordici anni all'epoca - era un'esordiente (ma ha continuato a fare l'attrice e la sceneggiatrice). Tutti molto bravi e credibili. Ruoli difficili da interpretare se non si ha provato sulla propria pelle tutta quella sofferenza. 
Un film suggestivo, disturbante, nauseante per il degrado e l'abbandono (in più forme, come accennato), notturno. 
Deve la sua notorietà anche alla magnifica colonna sonora: vengono utilizzate le canzoni di David Bowie (che ha un cameo nella scena del "suo" concerto a cui assiste la protagonista). 
Beninteso, questo particolare regala fascino però non gli si può dare la colpa di traviare gli spettatori: è semplicemente insito nella circostanza. Diventato subito, giustamente, un cult. 
Da vedere. Consigliato. 


Voto: ***/***1/2





Il trailer:







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giovedì 28 aprile 2016

Suburra di Stefano Sollima, film di mafia/noir tratto dal romanzo omonimo di Bonini-De Cataldo che mette in scena le brutture di una Roma corrotta fio al midollo. Buon cast, risente di qualche difetto nella sceneggiatura, dei cliché e della fattura televisiva

Oggi vi voglio parlare di un film recente. Un film italiano diretto da un acclamato autore di serie televisive di qualità.
Mi riferisco a Suburra di Stefano Sollima.
Ecco la recensione:





Suburra di Stefano Sollima del 2015. Con Pierfrancesco Favino, Claudio Amendola, Alessandro Borghi, Elio Germano, Greta Scarano, Giulia Elettra Gorietti, Adamo Dionisi, Giacomo Ferrara, Antonello Fassari, Jean-Hugues Anglade, Nazzareno Bomba, Marco Zangardi, Andrea Pennacchi, Pascal Zullino, Davide Iacopini, Simone Liberati. (135 min. ca.)
2011. La corruzione a Roma tra politica, Chiesa, mafia. Il Papa si vuole dimettere, c'è la crisi di Governo e nei sette giorni precedenti si scatena una guerra tra bande per il controllo della città e periferia (Ostia). Tutto parte quasi involontariamente da un "incidente" accaduto all'Onorevole Filippo Malgradi (Favino), che rimane coinvolto nella morte accidentale di una delle due escort, minorenne tra l'altro, con cui aveva passato una notte di sesso e crack... Ma le storie parallele finiscono per intrecciarsi.
















Film di mafia/noir ambientato in una Roma - quasi sempre - piovosa, tratto dal romanzo omonimo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, autori anche della sceneggiatura insieme a Stefano Rulli e Sandro Petraglia. 
Atmosfere affascinanti, grande abilità nel girare scene di sparatorie e vendette varie (fantastica quella nel supermercato) e nel dirigere gli attori. 
Pierfrancesco Favino è eccezionale, convincente nel ruolo del politico corrotto. Elio Germano sempre una conferma anche se in verità fa poco. Alessandro Borghi una delle scoperte di quest'ultimo anno - anche in Non essere cattivo*, insieme ad un'altra scoperta: il fuoriclasse Luca Marinelli - con quel suo sguardo allucinato e il suo modo di recitare molto moderno, "americano", naturale e dall'espressività eccezionale. Il suo "Numero Otto", un pesce piccolo che pagherà il suo atteggiarsi da proprietario di Ostia, è uno dei personaggi più belli del film e lui uno dei più bravi del cast. Claudio Amendola di recente sembra aver imparato a recitare e ha la fisicità giusta per il pacato "Samurai", altro boss della zona. Tutti gli altri sono una buona spalla. 
Quello che lascia un po' a desiderare è la caratterizzazione di questi stessi personaggi, che risultano bidimensionali. 
Inoltre la sceneggiatura appare fallace: gli avvenimenti si susseguono con pressapochismo - cosa che va bene per un libro, lasciando all'immaginazione del lettore il compito, ma in un'opera cinematografica così complessa e per niente astratta, la precisione è tutto. Che fine fa il bambino di Malgradi? E la storia del Papa viene ripresa solo per pochi secondi. Sono una sorta di MacGuffin per far procedere la storia, ma avrebbero dovuto avere un'importanza maggiore. 
Poi appare stereotipato, forzato in alcuni punti. 
Pare proprio uscire così com'è dal romanzo; è patinato e caricato dall'inizio alla fine: di conseguenza risulta piatto e non gode di un vero climax narrativo (forse per i troppi omicidi sparsi in tutta la vicenda). 
L'epilogo arriva brutale e freddo, ma senza sconvolgere, nonostante abbia un gran significato e la scena in sé abbia la giusta suggestione. 
Tuttavia, mettendo mettendo in secondo piano questi difetti, è un film coinvolgente (alcuni momenti sono di grande impatto), che mescola con sapienza la realtà e la fiction. 
Probabilmente risente di una fattura televisiva e del suo essere così "esasperato", oltre al raccontare cose già viste. 
Se lo si prende per quel che è, un film di genere, si rimarrà soddisfatti. Se invece si vuole la brutalità diretta, senza filtri (parlando di filtri, anche qui come in Gomorra, il solarium è un luogo nefasto) e del "neorealismo", allora si rimarrà inevitabilmente delusi. Comunque da vedere. Consigliato. 

*Mia recensione
Voto: **1/2 








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