lunedì 31 agosto 2015

CULT di genere e personale: Paura d'amare di Garry Marshall, commedia romantica che narra una storia d'amore plausibile con tenerezza, molta delicatezza e un tocco di umorismo. Pare incredibile sia diretto dallo stesso regista di Pretty Woman. Davvero affiatati i due protagonisti Al Pacino e Michelle Pfeiffer

Oggi vi voglio parlare di un film di parecchi anni fa. Un film sentimentale diretto, scritto e interpretato benissimo, un vero cult nel suo genere.
Mi riferisco a Paura d'amare di Garry Marshall.
Ecco la recensione:






Paura d'amare (Frankie and Johnny) di Garry Marshall del 1991. Con Al Pacino, Michelle Pfeiffer, Hector Elizondo, Nathan Lane, Kate Nelligan, Jane Morris, Greg Lewis, Al Fann, Ele Keats, Fernando López, Glenn Plummer, Tim Hopper. (118 min. ca.)
Frankie (Pfeiffer) è una donna bellissima sulla trentina, sola, con storie disastrose e squallide alle spalle che le stanno impedendo di affrontare gli uomini (anche soltanto di uscire). Johnny è sulla quarantina, affascinante, colto, esuberante e appena uscito di galera. Frankie & Johnny, come la canzone, si ritrovano a lavorare gomito a gomito in una tavola calda al centro di New York. Si innamorano. O almeno lui si innamora subito. Lei con i suoi tempi... 


























Tratta dalla pièce off-Broadway di Terrence McNally - autore anche della sceneggiatura - Frankie and Johnny in the Clair de Lune, è una commedia romantica zuccherosa (ma non stucchevole) e tenera con una venatura malinconica. 
La storia d'amore è ben narrata, si snoda senza fretta, in modo realistico. In fondo è una situazione molto plausibile e i protagonisti stessi sono credibili e caratterizzati divinamente. 
Quello che fa parteggiare il pubblico per loro è la goffaggine, l'essere così veri ma anche così perfetti in questa normalità (patinata qua e là e con stereotipi). Michelle Pfeiffer e Al Pacino sono eccezionali e pieni di carisma. Non sono soltanto covincenti, ma proprio belli da ammirare anche per via della sintonia palpabile tra di loro (avevano già lavorato insieme in Scarface). Indimenticabili. 
Come sono indimenticabili alcune scene: quella di Frankie che mangia il burro di noccioline e quasi si soffoca, il primo appuntamento con Johnny e quando lui le chiede di uscire: mentre stanno soccorrendo un cliente epilettico al lavoro. Anche gli altri personaggi e gli attori di contorno fanno la loro, in scene quasi corali (bella l'atmosfera nella tavola calda). 
La regia è di polso, misurata. Quando sembra calcare troppo la mano o andare troppo sopra le righe, ecco che riesce a riprendersi con dignità. La sceneggiatura è il punto forte: le situazioni sono divertenti. Si ride anche amaramente (come succede nella vita quotidiana). Questo umorismo stempera alcuni momenti ad alto tasso di diabete rendendoli più coinvolgenti. 
Bella la musica di Marvin Hamlisch che si rifà al Chiaro di Luna di Debussy che avrà così tanta importanza nel finale ed è perno dell'opera. 
Ottima anche la fotografia di Dante Spinotti. 
Delicatezza, ecco la parola che può riassumere questo film così leggero eppure così poetico e che più di tanti altri descrive con intelligenza e verosimiglianza non solo i rapporti di coppia, quanto la solitudine (anche imposta), lasciando però una speranza allo spettatore medio che si immedesima nei due amanti sfortunati, sia negli stessi Frankie & Johnny, dando loro un'ultima possibilità per essere felici. 
È così ben realizzato, costruito con così tanto gusto che pare perfino strano sia diretto da Garry Marshall (il quale l'anno precedente aveva diretto il sopravvalutatissimo Pretty Woman). 
Un cult nel suo genere. 
Da vedere assolutamente. Consigliatissimo. 
(Frankie che riesce ad aprire tutti i barattoli è anche una caratteristica di Michelle Pfeiffer che, durante una delle prove con il regista, alla sua domanda su cosa sapesse fare meglio, quale fosse una sua peculiarità, lei rispose appunto: "So aprire i barattoli". Bella idea, perché ripetuta più volte, umanizza il personaggio, lo rende più simpatico e memorabile).


Voto: ***1/2







Il trailer:






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sabato 29 agosto 2015

Nine di Rob Marshall, musical poco ispirato, vuoto, dalla confezione patinata e poco altro. Con un cast sprecatissimo che si mette in ridicolo (al pari dei dialoghi e delle canzoni)

Oggi vi voglio parlare di un film di pochi anni fa. Un musical pessimo per i contenuti e la forma, confusa.
Mi riferisco a Nine di Rob Marshall.
Ecco la recensione:





Nine di Rob Marshall del 2009. Con Daniel Day-Lewis, Penélope Cruz, Marion Cotillard, Sophia Loren, Nicole Kidman, Judi Dench, Kate Hudson, Fergie, Elio Germano, Ricky Tognazzi, Enzo Cilenti, Giuseppe Cederna, Roberto Nobile, Andrea Di Stefano, Remo Remotti, Michele Alhaique, Valerio Mastandrea, Martina Stella, Roberto Citran, Vincent Riotta, Alessia Piovan. (118 min. ca.)
Roma, 1965. Guido Contini (Day-Lewis), famoso regista italiano considerato un vero maestro, non riesce a trovare l'ispirazione per il suo nuovo film che dovrebbe chiamarsi Italia. Gli vengono in aiuto le donne della sua vita (moglie, costumista, amante, la madre) e il suo "io" bambino. 

























Tratto dall'omonimo musical di Broadway di Mario Fratti che si rifà a di Fellini, è un musical patinato, di maniera, privo di nerbo e contenuti. 
Il libretto è penoso, pieno di cliché e parole italiane buttate qua e là, le melodie dimenticabili. Anche i dialoghi sono ridicoli, così colmi di frasi fatte, di banalità e l'uso goffo dell'italiano è perfino irritante. E tutto sembra girare a vuoto come il protagonista. 
Uno dei cast più sprecati che si siano mai visti. Un gruppo di attori così bravi sono ridotti a macchiette. Sophia Loren è la caricatura di se stessa, Nicole Kidman (il suo personaggio si ispira ad Anita Ekberg) non fa nient'altro che mostrare la sua bellezza, anche se uno sprazzo di interpretazione c'è nel suo numero, ma dura poco. Niente è servita la sua bella voce. Judi Dench ha un numero simpatico e lei è sempre espressiva, la sua parte ha un ruolo abbastanza rilevante. Eppure non è incisiva, non sa di niente comunque. Penélope Cruz, Carla (ruolo che fu di Sandra Milo), mostra un suo lato volgarotto e per niente di classe. Kate Hudson ha una bella voce ma è anonima. Fergie è provocatrice per nulla. Forse l'unica che dà una nota di colore è Marion Cotillard: espressiva, con una bella voce. Si impegna e si vede. Ed è probabile che i pezzi da lei interpretati siano i più emozionanti e carini (non belli, non sia mai). Daniel Day-Lewis è sofferente, emaciato, dolente (lui si immedesima sempre corpo e anima nel personaggio, anche troppo), eppure non convince. Molti gli attori italiani. Bravo Ricky Tognazzi, non pervenuti gli altri che fanno troppo poco anche se non sembrano del tutto da buttare. 
Quasi nulla risulta piacevole tranne i costumi, le scenografie – poi gli esterni, beh, parlano da soli. Roma è sempre meravigliosa - e in parte le coreografie: in una scena finale, quando tutti escono sulle scale del set, lo spettatore viene travolto, è un vero colpo d'occhio. Ma soltanto questo. 
Pretenzioso, dalla regia confusa e per niente originale, scritto maluccio da Michael Tolkin ed Anthony Minghella, dalla confezione lussuosa ma vuoto. 
Un film inutile. Anzi, pessimo. 
Da vedere solo esclusivamente per curiosità. Non consigliato.

Voto: *1/2








Il trailer:








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