mercoledì 30 maggio 2018

Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli, biografia libera ed estrosa su Nico, ex modella e cantante tedesca musa dei Velvet Underground. Un film eccentrico, ben realizzato e con un'ottima protagonista

Oggi vi voglio parlare di un film recente. Il film di una regista italiana che ha realizzato una biografia davvero particolare, su un personaggio sempre avvolto in un certo mistero.
Mi riferisco a Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli.
Ecco la recensione:






Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli del 2017. Con Trine Dyrholm, John Gordon Sinclair, Anamaria Marinca, Sandor Funtek, Thomas Trabacchi, Karina Fernandez, Calvin Demba, Francesco Colella. (93 min. ca.)
Gli ultimi due anni della vita della cantante ed ex modella tedesca Christa Päffgen (Dyrholm), in arte Nico, alla soglia dei cinquant'anni. I tour in posti desolati, la dipendenza dall'eroina, la preoccupazione per quel figlio che ama tanto, ma che pare non voler vivere... 















Biografia anticonvenzionale, stramba, libera, che racconta i fatti realmente accaduti - e ovviamente romanzati - senza seguire uno schema preciso, con un ritmo talvolta più frenetico, talvolta dilatato tra brevissimi flashback e ritorni al presente. 
E decisione migliore non poteva esserci, dato che l'opera coglie l'essenza di un personaggio non soltanto stravagante, ma complesso, pieno di problemi esistenziali e psicologici in bilico tra rinascita e decadenza. 
Il tutto con una fotografia altrettanto particolare, dai colori accesi, una sceneggiatura perfetta. 
E una protagonista, Trine Dyrholm, assolutamente azzeccata nell'interpretare una donna vissuta con struggente intensità: è credibile. Al di là della somiglianza fisica o meno, sembra entrata totalmente nei panni di Nico, colei che fu musa dei Velvet Underground, che apparve ne La Dolce Vita di Fellini; ma anche Christa, la tossicodipendente che allontana tutti, che impreca e vuole prendersi cura del figlio come può. Davvero da applausi la sua performance, nonostante la visione doppiata renda i dialoghi in più lingue piatti, monchi. 
I brani musicali, mai invadenti, fanno da contorno alla semplice storia. 
Finalmente un film biografico non a compartimenti stagni, che non segue pedissequamente ogni minimo particolare, ma che si sofferma concisamente solo su quello che importa davvero. 
Presentato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, ha vinto il Premio Orizzonti come miglior film. Ma ha vinto anche un David di Donatello per la miglior sceneggiatura. 
Da vedere assolutamente. Consigliatissimo.

Voto: ***/***1/2






Il trailer:







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lunedì 21 maggio 2018

IN SALA - Dogman di Matteo Garrone, film drammatico sulla tragedia di un uomo apparentemente mite combattuto tra il bene e il male. Presentato in concorso all'ultima edizione appena conclusa del Festival di Cannes e vincitore, per l'appunto, della Palma d'Oro per il miglior attore: un incredibile Marcello Fonte

Oggi vi voglio parlare di un film in questi giorni nelle sale. Un film italiano - di un autore meraviglioso - che ha partecipato, in concorso, al Festival di Cannes.
Mi riferisco a Dogman di Matteo Garrone.
Ecco la recensione:





 
Dogman di Matteo Garrone del 2018. Con Marcello Fonte, Edoardo Pesce, Alida Baldari Calabria, Nunzia Schiano, Adamo Dionisi, Francesco Acquaroli. (102 min. ca.)
Marcello (Fonte) è un toelettatore di cani e dogsitter nella periferia della Magliana e, nei tempi morti, spacciatore di cocaina. Separato, con una figlia, è esasperato da Simone (Pesce), il delinquente del posto che lo sfrutta e lo manipola a suo piacimento, immischiandolo in una rapina che avà conseguenze estreme. 







Il film drammatico presentato in concorso al Festival di Cannes è l'ultimo gioiello di Matteo Garrone. 
Gioiello poiché con semplicità incredibile riesce a realizzare un'opera stratificata ricca di spunti di riflessione e chiavi di lettura. Il Delitto del Canaro, fatto di cronaca agghiacciante e noto, è soltanto lo spunto per raccontare di un uomo che cerca di sfuggire dalla quotidianità fatta di desolazione. 
Lui, un ometto ridicolo agli occhi di molti, che sembra così docile all'apparenza, quasi un bambino innocente (a parte lo spaccio di droga a cui si dedica), più mite e innocuo dei cani che tanto ama, ma che - dopo aver troppo subito - si ritrova ad usare la violenza per farsi valere, per riuscire ad avere un futuro, un'esistenza lì o fuori di lì. 
Il senso di non appartenenza al luogo (e il regista è sempre un maestro nel saper ricreare le suggestioni. In aiuto arriva anche la magnifica fotografia di Nicolaj Brüel), di tristezza, di solitudine è reso con grande forza narrativa e visiva, da lasciare impietriti e sbalorditi. 
E lo stesso Marcello Fonte - vera e propria "maschera" pasoliniana - vincitore della Palma D'Oro come miglior attore, è stato altrettanto incredibile nel dare vita ad un personaggio tanto complesso quanto la sua storia (la sceneggiatura è perfetta: soltanto con un grande copione - e una regia attenta - un attore poteva riuscire in questa impresa): è Marcello, è entrato completamente nella parte. 
Gli ultimi minuti sono di pura poesia: Fonte e Garrone sono in simbiosi per rappresentare un uomo alla deriva, perduto, in balìa di se stesso e delle scelte che ha preso, combattuto tra il bene e il male, la violenza e magari una vita nuova e la giustizia ma il continuare a sopravvivere in un posto che nulla aveva da offrirgli se non miseria. 
Crudo, pieno di scene forti (non sui cani. Ossia, è presente una scena particolarmente indigesta che tuttavia al contempo è positiva), verosimile, riporta alla mente il primo acclamato successo del regista, L'imbalsamatore* (ed è dunque un grande ritorno dopo l'irrisolto Il Racconto dei Racconti*), per atmosfere cupe, colori, toni (qui però non surreali o sospesi se non in alcuni frangenti). Un neorealismo reinventato, dallo stile minimale, essenziale con l'ambiente e il protagonista che dicono tutto. 
Un film potente e toccante, un vero pugno allo stomaco, dolente come pochi altri, dal ritmo sempre teso addirittura in crescendo, con una fine che lascia sgomenti, atterriti, depressi. 
Ed è un'opera che si sedimenta, lavora dentro, strugge lo spettatore. 
Garrone è uno dei migliori registi italiani contemporanei, un autore che sa parlare dei luoghi e dei protagonisti in cui colloca le vicende quasi come se non ci fossero filtri. 
Questo è grande cinema. 
Da vedere assolutamente (aspettandosi tutto e il contrario di tutto). Consigliatissimo.

*Mia recensione
Voto: **** 







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venerdì 18 maggio 2018

Delicatessen di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro, commedia grottesca stranissima, nonsense, colorata (ma al contempo cupa) e fantasiosa con una regia puntuale e degli attori in parte

Oggi vi voglio parlare di un film di parecchi anni fa. Un film francese di un autore molto amato (e detestato al contempo forse). Qui insieme ad un altro regista.
Mi riferisco a Delicatessen di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro.
Ecco la recensione:





 
Delicatessen di Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro del 1991. Con Dominique Pinon, Marie-Laure Dougnac, Jean-Claude Dreyfus, Karin Viard, Ticky Holgado, Anne-Marie Pisani, Edith Ker, Rufus, Jacques Mathou, Howard Vernon, Chick Ortega, Silvie Laguna, Jean-François Perrier. (99 min. ca.)
In Francia in un'epoca imprecisata e in un luogo imprecisato, svetta un palazzo decadente che ospita anche la macelleria "Delicatessen" di Clapet (Dreyfus), uno degli inquilini. Andrà ad abitare in quel luogo orrido anche un ex acrobata e tuttofare, Luison (Pinon), che si innamora della figlia di Clapet, Julie (Dougnac). 



















Commedia grottesca/sentimentale ricca di invenzioni, trovate nonsense divertenti e strampalate. 
Contraddistinto da una fotografia ricercata che vira sui toni del giallo, del verde, del marrone, abbinata alle scenografie che a loro volta - o viceversa - si abbinano ai costumi, è un'opera da ritmo sempre costante, che sorprende e spiazza. 
La regia è puntuale: ogni cosa sembra al suo posto e ogni effetto sembra voluto e studiato. 
Ma ciò non è un difetto perché riesce comunque a sembrare un film libero e bizzarro, con una perfetta costruzione narrativa (passa dal grottesco più violento - ma cartoonesco - alla dolcezza più misurata e innocente) e ambientale, con dei personaggi stupendi e ben caratterizzati che sembrano venire realmente da un altro mondo. 
Tutti gli attori sono bravissimi e hanno la faccia giusta, il piglio giusto. Ovvio che i tre protagonisti (soprattutto Pinon, attore feticcio di Jeunet) siano al di sopra. 
Prima di Amélie ma più simpatico e meno furbetto rispetto a quest'ultimo. Ispiratore, evidentemente per alcune scene, dell'ultimo acclamatissimo e meraviglioso film di Guillermo Del Toro La forma dell'acqua*. 
Da vedere assolutamente. Consigliatissimo. 

*Mia recensione
Voto: ***1/2 




Il trailer:






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lunedì 14 maggio 2018

IN SALA - Loro 2 di Paolo Sorrentino. Secondo e ultimo capitolo incentrato su Berlusconi e la cricca che gli gira(va) intorno. Incisivo, piacevole, con notevoli spunti di riflessione anche sui contenuti

Oggi vi voglio parlare di un ilm ora nelle sale. La "seconda parte" dell'altra pellicola al cinema poche settimane fa...
Mi riferisco a Loro 2 di Paolo Sorrentino.
Ecco la recensione:






Loro 2 di Paolo Sorrentino del 2018. Con Toni Servillo, Riccardo Scamarcio, Elena Sofia Ricci, Kasia Smutniak, Euridice Axen, Fabrizio Bentivoglio, Roberto De Francesco, Dario Cantarelli, Anna Bonaiuto, Giovanni Esposito, Ugo Pagliai, Ricky Memphis. (100 min. ca.)
Il secondo capitolo romanzatissimo delle vicende di Silvio Berlusconi nel periodo del divorzio con Veronica Lario e del post-terremoto a L'Aquila. 


In questa seconda parte, altrettanto incisiva e piacevole, Sorrentino mostra la decadenza di un personaggio patetico, tanto bravo a parole e meno con i fatti. 
Il ritmo è sempre sostenuto, ma il montaggio è meno serrato, la fotografia meno brillante: sostanzialmente qui si ci concentra molto di più sulla trama elaborata (nel primo capitolo era scarna, minimale) che sull'immagine. 
Potrà sembrare più parlato, spiegato, meno "sorrentiniano" forse e più cupo, ma è proprio qui che sta il senso. 
La pellicola, in ogni caso, parla della caduta non solo di Berlusconi, bensì di tutti quelli che gli stanno attorno (i Loro del titolo), persone da quattro soldi che chiedono soltanto favori. Non ci sono troppe scene simboliche o surreali ma si dà spazio alla figura di Berlusconi in toto. 
Gli attori sono in parte. Ovviamente spiccano un Toni Servillo istrionico che a tratti fa trasparire troppo il suo accento napoletano (non soltanto quando canta con "Apicella"), ma che è davvero perfetto per incarnare un uomo carismatico e viscido e una Elena Sofia Ricci intensa e convincente: lo scontro tra lei e Servillo in cucina è stato eccezionale. Il merito è comunque del regista che non ha ridicolizzato la situazione. 
In effetti Sorrentino pur usando sempre la sua ironia (più del solito) è riuscito a bilanciare i toni con la giusta misura, anche perché - ammettiamolo - Berlusconi si ridicolizza da solo. 
Mai eccessivo e meno dirompente della prima parte, è un film che colpisce, diverte anche, a modo suo, e spiazza in modo diverso. 
Il finale struggente e di muta disperazione è forse stato il modo più intelligente di concludere un'opera che non è così strafottente come ci si poteva aspettare da Sorrentino. Intendiamoci, caustico lo è, pungente lo è, ma in un certo senso meno cafone, sembra esserci meno autocompiacimento e più generosità nei confronti dello spettatore. 
Un vero gioiellino da vedere assolutamente. Consigliatissimo.

Voto: ***1/2




Il trailer:







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mercoledì 2 maggio 2018

Il colore nascosto delle cose di Silvio Soldini, dramma sentimentale con una storia poco interessante che non riesce ad andare oltre gli stereotipi. Adriano Giannini imbarazzante

Oggi vi voglio parlare di un film recente. Un film italiano diretto da un regista solitamente sempre puntuale e interessante che qui fa un vero e proprio buco nell'acqua.
Mi riferisco a Il colore nascosto delle cose di Silvio Soldini.
Ecco la recensione:





Il colore nascosto delle cose di Silvio Soldini del 2017. Con Valeria Golino, Adriano Giannini, Laura Adriani, Arianna Scommegna, Anna Ferzetti, Andrea Pennacchi, Beniamino Marcone, Italo Amerighi, Mattia Sbragia, Valentina Carnelutti. (115 min. ca.)
Teo (Giannini), quarantenne pubblicitario donnaiolo (con più relazioni parallele) conosce durante un incontro "al buio" (nel senso di quegli incontri in cui non vedenti e vedenti si trovano in una stanza al buio e provano ad interagire) Emma (Golino), cieca da quando aveva diciassette anni, osteopata e separata. Inevitabilmente tra i due scoppierà la passione, ma anche un legame di complicità, di affetto e di comprensione. Ovvio che l'amore farà cambiare Teo, che vedrà la vita in modo diverso... 











Film drammatico/sentimentale che non riesce a mantenere i propositi iniziali risultando sfilacciato, ripetitivo e piatto, sciapo e - si scusi il gioco di parole - incolore. 
Senza i soliti guizzi a cui ci ha abituato il bravissimo regista, in questo caso la vicenda va avanti per inerzia tra stereotipi, colpi di scena prevedibili e una storia d'amore che a tratti appare inverosimile, telefonatissima e, soprattutto, questo è il difetto maggiore, che non crea empatia né alcun interesse nello spettatore che attenderà passivo la fine della pellicola. 
Lontano dalla vera passione, dallo struggimento devastante messo in scena in Cosa voglio di più*, qui tutto è grigio, triste e patetico. 
Qualche scena azzeccata qua e là non riescono a togliere l'impressione di un'opera del tutto sbagliata e da dimenticare. 
Colpa degli attori protagonisti? Se Adriano Giannini è quanto di più inespressivo e ingiudicabile dalle espressioni alla poca convinzione che ci mette nel pronunciare i dialoghi, la Golino si impegna e - come da qualche anno a questa parte - dimostra di saper sostenere il film praticamente da sola, con molta misura. 
Purtroppo la storia in sé non sa che piega prendere (che sia una pellicola sentimentale anomala non è certo un difetto, quanto che la sua resa non sia incisiva ed interessante) e, malgrado la trovata del finale circolare (finisce come è iniziato cioè), non appaga. Un peccato. 
Da Soldini ci si aspetta sempre quello scorcio di vita reale mista a un pizzico di bizzarria, leggerezza e al contempo profondità, tuttavia non si percepisce neanche troppo l'ultima caratteristica, seppur si capisca talvolta l'intenzione di andare oltre il cliché e di raccontare una tematica delicata in punta di piedi, mandando un messaggio. Ma questo messaggio non riesce ad arrivare a destinazione, ostacolato da un ritmo altalenante e da poche e confuse idee. Una delusione. 
Da vedere soltanto per curiosità. 
Presentato Fuori Concorso alla 74a Mostra del Cinema di Venezia. 

*Mia recensione
Voto: **/**1/2







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