Mi riferisco a La forma dell'acqua - The Shape of Water di Guillermo del Toro.
Ecco la recensione [ATTENZIONE, testi e immagini SPOILER]:
La forma dell'acqua - The
Shape of Water (The Shape of Water) di Guillermo del Toro del 2017. Con Sally
Hawkins, Michael Shannon, Richard Jenkins, Octavia Spencer, Michael
Stuhlbarg, Doug Jones, Lauren Lee Smith, Nick Searcy, David Hewlett.
(119 min. ca.)
Baltimora, 1962. Elisa Esposito (Hawkins), donna delle pulizie muta e
mingherlina - insieme all'amica Zelda (Spencer) - in un laboratorio
governativo, farà la conoscenza di una strana creatura
umanoide-anfibia che dovrà essere studiata e sfruttata per una
futura missione spaziale. I due costruiranno, di nascosto, un
rapporto particolare, che porterà Elisa a compiere una scelta
coraggiosa...
Film fantastico/fantascienza/sentimentale (ma è
riduttivo etichettarlo anche in solo genere) ispirato evidentemente a Il mostro della laguna nera horror/sci-fi del 1954 di
Jack Arnold, ma omaggio al cinema classico (musical soprattutto. Sono
particolari delle incursioni in questo ambito) con inserti, tra
l'altro, delle pellicole originali.
Il fascino "vintage"
molto nostalgico che permea l'intero film, (che inizialmente potrebbe
ricordare un'"Amélie" americano e passa quindi alla
fantascienza dei B-movies d'epoca. La componente sentimentale è ben
coesa a questo tributo e ne è parte anch'essa).
Visivamente
eccezionale, con una composizione dell'immagine ricercata, curato nei
minimi particolari, dalle scenografie ineccepibili e dalla fotografia
dai colori che caratterizzano perfettamente luoghi e personaggi (con azzeccati accostamenti cromatici mai lasciati al caso: tutto vira sul verde. E sul rosso, in casi particolari),
sorprende per delle scene "forti", un po' "osé"/erotiche
ed ironiche. Ci si aggiunga la componente comica affidata ad
un'Octavia Spencer sempre in forma e il gioco è fatto.
Eppure non è solo questo: parla di due solitudini e due diversità che si incontrano, si riconoscono e non si possono lasciare.
La tematica della bruttina triste e desolata che si innamora perdutamente di un suo "simile" (perché quel mostro-non mostro - e si capirà il perché di questa affermazione - lo è) non è nuova e volendo ammetterlo è sì, furbesca, tuttavia i toni con cui è stata trattata sono delicati e lo spettatore non potrà non venir catturato dalla vicenda, empatizzando per la tenera protagonista.
Eppure non è solo questo: parla di due solitudini e due diversità che si incontrano, si riconoscono e non si possono lasciare.
La tematica della bruttina triste e desolata che si innamora perdutamente di un suo "simile" (perché quel mostro-non mostro - e si capirà il perché di questa affermazione - lo è) non è nuova e volendo ammetterlo è sì, furbesca, tuttavia i toni con cui è stata trattata sono delicati e lo spettatore non potrà non venir catturato dalla vicenda, empatizzando per la tenera protagonista.
Il cast è
eccezionale: Sally Hawkins, sempre più a suo agio in questi ruoli
(notevole anche in Maudie - Una vita a colori* sulla vita
della pittrice canadese affetta da artrite reumatoide ed era ora che
le venisse riconosciuta tutta la sua immensa bravura), è una
protagonista perfetta. Espressiva, sensibile. È Elisa. Nessuna
meglio di lei poteva interpretarla. Octavia Spencer è sempre una
valida spalla e caratterista, così come Richard Jenkins (il quale,
finalmente, viene sfruttato di più nel cinema). Michael Shannon è
un villain incredibile (ma Shannon è una garanzia sempre e
comunque): ha il piglio giusto, la faccia giusta per la parte del
cattivone. Michael Stuhlbarg (richiestissimo anche lui in
quest'ultimo anno), offre una performance sempre azzeccata (sarà
quella sua espressione sempre un po' dimessa e da vittima).
Un film
dolce, poetico, viscerale e ricco di stupore.
Una fiaba piena di romanticismo, talvolta grottesca e divertente, talvolta cruda, spietata e quasi thriller. Bizzarra, ma dal sapore così hollywoodiano.
Ha tutti gli elementi per piacere ed ingraziarsi il pubblico e non sorprende che abbia un po' diviso gli animi al momento della vincita del Leone d'Oro all'ultima Mostra del Cinema di Venezia: è una pellicola "classica", convenzionale probabilmente, ma anche di una bellezza incantevole.
Una fiaba piena di romanticismo, talvolta grottesca e divertente, talvolta cruda, spietata e quasi thriller. Bizzarra, ma dal sapore così hollywoodiano.
Ha tutti gli elementi per piacere ed ingraziarsi il pubblico e non sorprende che abbia un po' diviso gli animi al momento della vincita del Leone d'Oro all'ultima Mostra del Cinema di Venezia: è una pellicola "classica", convenzionale probabilmente, ma anche di una bellezza incantevole.
Risuonano
continuamente dopo la visione la colonna sonora - dell'ormai
onnipresente, diciamolo - Alexandre Desplat e quella canzone You'll
never know, così peculiare, così appassionata ed evocativa.
Ci si commuove costantemente, ci si lascia trasportare e coinvolgere
(scorre che è un piacere, il ritmo è sempre costante e teso)
dall'atmosfera malinconica di un cinema forse creato a tavolino per
scatenare certe emozioni, il quale però riesce a raggirare con
abilità il rischio di patetismi e piagnistei.
Suggestiva e adorabile,
questa è l'ultima opera di Guillermo del Toro: dopo il pasticcio -
bellissimo visivamente come al solito - ma accozzaglia di cose male
amalgamate e addirittura ridicole in alcuni punti - di Crimson Peak*, riesce a realizzare un film più profondo pur riuscendo a
mantenere la semplicità. La semplicità di uno sguardo quasi
infantile e di un autore che vuole soltanto raccontare una struggente
storia d'amore con un finale che riconcilia col mondo.
Da vedere assolutamente (meglio in lingua originale
per il linguaggio dei segni che altrimenti non coincide con le parole
e l'accento dei personaggi) e da tenere d'occhio in vista degli Oscar. Consigliatissimo.
*Mie recensioni
Voto: ****
Il trailer:
Voi l'avete visto? Cosa ne pensate?
Chiunque volesse prendere le recensioni citi questo blog. Riproduzione riservata
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