Commedia sentimentale triste che, nonostante possa sembrare fin troppo semplice, ha un sottotesto serio.
Ma vi spiegherò meglio nella recensione (attenzione agli SPOILER):
Jack Goes Boating di
Philip Seymour Hoffman del 2010. Con Philip Seymour Hoffman, Amy
Ryan, John Ortiz, Daphne Rubin-Vega.
Tratto dalla piéce teatrale di
Robert Glaudini - sua anche la sceneggiatura - (la commedia era stata
messa in scena dagli stessi attori, tranne Amy Ryan), è un film sentimentale agrodolce.
Jack (Hoffman) è un
autista di limousine impacciato, "finto rasta", goffo,
timido, insicuro; Connie (Ryan) è stramba, fragilissima, parla come un automa, è terrorizzata da tutto, detesta il contatto fisico se non approvato (non riesce a capire le intenzioni della gente) ed è insicura anche lei al limite del patologico e del
paranoico (bipolare, sindrome di personalità evitante?). Tutti e due
non riescono ad avere rapporti sociali ma altresì hanno un bisogno estremo
di amare e di essere amati, di trovare qualcuno che li comprenda
nelle loro bizzarrie e che non li tradisca. Due amici li fanno
incontrare e innamorare e paradossalmente sono loro a lasciarsi.
Grandi verità sui rapporti di coppia vengono ci vengono raccontati.
Purtroppo
in alcuni momenti il montaggio non è dei migliori: certe scene
appaiono scollegate tra loro, causando un effetto di straniamento. I
dialoghi sono piuttosto surreali, la pellicola è nello stile
tipicamente indie (a ben vedere c'è un po' di Wes Anderson – anche
per la colonna sonora - e di Michel Gondry) e forse ancora più
grezzo; inoltre in certi casi la provenienza teatrale si sente tutta. Ma
non è un male.
Philip Seymour Hoffman ci regala un'altra
interpretazione indimenticabile: il suo Jack con il fiato corto e la
tossetta nervosa è perfetto (Hoffman invece disse che forse aveva esagerato
nel manierismo e alcune cose erano forzate, viste col senno di poi);
Amy Ryan riesce a creare un personaggio difficilissimo con una
facilità incredibile. Ortiz e la Rubin-Vega sono nella parte, bravi,
ma ovviamente i protagonisti sono altri.
Ci sono poi molte scene
toccanti, tre su tutte: Jack che va a trovare Connie in ospedale dopo
un'aggressione (perché è proprio vero che i timidi, gli insicuri e
bizzarri si attirano tutti i maniaci) e le fa ascoltare una delle sue
canzoni reggae preferite (Rivers Of Babylon dei Melodians, "lietmotiv" che sentiremo parecchie volte nel corso della storia) per
farla calmare, facendole indossare le cuffie del suo walkman (a
cassetta!). Noi non sentiamo la canzone, ma sappiamo che è un pezzo
positivo: Connie si commuove sia per il pezzo che presumibilmente per
la situazione (Jack che cerca a modo suo di tirarle su il morale).
Oppure il tentativo di una "prima volta" con loro due che
si confidano su cosa dovrebbe essere una relazione e la vera prima
volta, dopo essere fuggiti dall'appartamento degli amici mentre
questi stavano litigando. Il tutto scandito da canzoni indie/folk delicate e decisamente appropriate al mood.
Hoffman alla prima regia è riuscito ad
essere sensibile e a dare al film una tenerezza che molti altri si
scordano: è un peccato che non potremmo mai più vedere un'altra sua
opera.
Molti hanno criticato la pellicola definendola poco incisiva
ed insipida, ma personalmente credo che vada bene così. Forse chi ne
ha parlato male non sa che ci sono persone che possono sentirsi
esattamente come Jack e Connie (o avere gli stessi problemi
relazionali).
La scena finale malinconica lascia un grande punto di
domanda sia nel rapporto di amicizia fra le due coppie che sul
rapporto di Jack e Connie: non si capisce se durerà, se l'amore è qualcosa di temporaneo e
basta. O forse, una lettura non totalmente negativa è che mentre
l'amico che dava consigli ma non riusciva ad andare incontro alle
esigenze della sua donna o a capire se stesso è rimasto solo, Jack che invece prova a migliorarsi con dedizione può riuscire a tenere
in piedi la sua relazione.
Insomma, ci troviamo di fronte ad una
commedia triste, malinconica, con qualche sprazzo di umorismo (come
nella vita). Per questi motivi, per la location newyorkese, per i
toni usati, per la storia in sè e anche per certe scene (Jack che
prepara da mangiare ad esempio), mi ha ricordato “L'appartamento”
di Billy Wilder. Paragone un po' esagerato e azzardato ma in qualche
modo pertinente. Chi si aspetta un film comico rimarrà deluso (probabilmente è questo che ha spiazzato il pubblico). Chi riesce a
leggere tra le righe troverà molto da riflettere e non banale. Da vedere.
Voto: ***
Ecco il trailer (che non rende giustizia al film):
Una delle scene più divertenti:
La playlist:
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