Wildlife di Paul Dano, presentato al Sundance e allo scorso Festival di Cannes, è un dramma intimista che rende bene il senso dell'oppressione e del soffocamento (l'incendio che viene mostrato e di cui si parla è un'azzeccata metafora).
Sguardo sui luoghi e il contesto, sguardi e grandi primi piani sui protagonisti e sul protagonista (e anche qui non è un caso che il ragazzo diventi fotografo e ritrattista) che osserva la vicenda forse con un alito di speranza e che con la sua giovane età cerca di trovare un suo posto nonostante viva in quella che oggi viene chiamata "famiglia disfunzionale".
In questa prima prova del grande attore Paul Dano dietro la macchina da presa ciò che si sente di più è proprio la regia. Sempre presente, con scelte ben precise e talvolta anche inconsuete e curiose per come cerca di raccontare questa storia.
Storia che sa di già visto ed è basata sul romanzo omonimo di Richard Ford, ma che è ben sceneggiata dalla come sempre bravissima Zoe Kazan, compagna di Dano, e da quest'ultimo.
E se forse tutto sembra piatto e non si sa dove voglia andare a parare, rimane quell'ultimo fotogramma a chiudere un'opera coerente e toccante. Con tre ottimi attori.
Carey Mulligan e Jake Gyllenhaal (che figura anche tra i produttori) non hanno bisogno di presentazioni. Soprattutto lei tra i due offre un'interpretazione così dolente e così puntuale che lo spettatore arriva a pensare: "Ma non sbagli mai, Mulligan?".
Tuttavia la vera sorpresa è Ed Oxenbould, che si mette totalmente nelle mani del regista e riesce a tirar fuori una prova di misura con grande intelligenza ed espressività.
Un Revolutionary Road (l'epoca è la stessa, tra l'altro) visto dalla parte di un figlio.
Non un capolavoro, ma un film delicato e realizzato con grande impegno.
Da vedere (in lingua originale) aspettandosi di uscire dalla visione con un senso di tristezza. È una pellicola che "lavora" e si insinua inconsciamente. Consigliatissimo.
Voto: ***/***1/2
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