mercoledì 20 maggio 2015

Big Eyes, biografia romanzata sulla vicenda della pittrice Margaret Keane raccontata come una favola colorata. Dal fascino vintage, è un film che rimane un po' piatto, è poco incisivo. Brava - come sempre - la protagonista Amy Adams

Oggi vi voglio parlare di un film recente diretto da un regista osannatissimo ma spesso sottotono negli ultimi anni. Questo non fa differenza, anche se il tocco delicato e strambo riesce ad affascinare.
Mi riferisco a Big Eyes di Tim Burton.
Ecco la recensione:





Big Eyes di Tim Burton del 2014. Con Amy Adams, Christoph Waltz, Danny Huston, Jon Polito, Krysten Ritter, Jason Schwartzman, Terence Stamp. (105 min. ca.)
1958. Margaret Ulbrich (Adams) lascia bruscamente il marito e scappa dalla California alla volta di San Francisco con la figlia. Non ha un lavoro, non sa come mantenersi. Ha però con sè alcuni dipinti molto particolari che raffigurano bambini con occhi enormi e tristi (somiglianti alla figlia stessa). Durante un'esposizione/mercatino conosce Walter Keane (Waltz), un uomo affascinante che si dice pittore di paesaggi parigini. Lui stesso afferma di aver studiato in una scuola d'arte. Si innamorano istantaneamente (o così pare) e si sposano altrettanto velocemente. Quando Walter per un fraintendimento lascia correre la bugia che i dipinti della moglie firmati come "Keane" - ed esposti vicino ai bagni di un locale - siano opera sua e con la scusa di essere un bravo venditore (e molto carismatico) - decide di portarla avanti. I quadri hanno un enorme successo, cominciano ad essere popolari (addirittura l'uomo inizia un vero e proprio merchandising vendendo poster dappertutto, anche nei supermercati) ma non privi di qualche critica. Intanto però Margaret viene praticamente costretta al silenzio sulla questione, minacciata e costretta a dipingere in una stanza seguendo le direttive del marito. Ad un certo punto però mostrerà insofferenza - dall'altra parte vengono esposti anche altri dipinti d'ispirazione modiglianesca, questa volta con il suo nome - anche perché il marito diventa sempre più minaccioso e scoprirà che le ha detto altre menzogne: non ha mai frequentato nessuna scuola e i dipinti erano di un altro. A quel punto a Margaret non le resta altro che fargli causa. Vincerà. 


















Tratta dalla storia vera della reale Margaret Keane, è una biografia romanzata raccontata come una favola colorata (l'ambientazione d'epoca con abiti, arredamento, auto, il design, ecc... hanno aiutato) dallo stile burtoniano spogliato dagli eccessi (che sarebbero una sua peculiarità) del gotico pur mantenendo un sottofondo cupo, misterioso e quelle venature surreali tipiche del suo cinema. 
Ciò ha permesso di essere meno legato agli schemi del genere biografico, anche perché una storia bizzarra si prestava ad essere raccontata in maniera stramba (come sono strambi i dipinti degli orfanelli e il tipo di pittura della Keane). 
Inoltre si è scelto di focalizzarsi quasi esclusivamente sulla truffa portata avanti da Walter - ci sono vari indizi qua e là, ma niente che prevarichi - perciò sono state evitate scene patetiche di struggimenti, andando invece al sodo (anche perché a quanto sappiamo non è che la vita della coppia fosse così particolare). 
Tra i due attori la migliore è senza dubbio Amy Adams che gioca di sottrazione: non è mai eccessiva, è altresì misurata, in parte (nonostante l'inconsueta parrucca bionda) ed espressiva in ogni scena. L'interpretazione di Christoph Waltz è un po' troppo caricata, quasi cartoonesca. Il classico cattivone/impostore che sogghigna a denti stretti. Bisogna dire che riesce ad essere ambiguo, viscido e a farsi odiare come pochi altri. Gli altri fanno poco. 
Bella fotografia brillante, soprattutto dei paesaggi, ben scritto e ben realizzato ma non tutto funziona. Se l'inizio cattura e coinvolge, immergendo subito lo spettatore dentro la vicenda, successivamente tutto rimane piatto, non decolla. 
Nonostante alcune scene molto carine e il (finto) pathos finale non decolla mai, non morde come dovrebbe. Anche se porta all'attenzione il tema della finzione, del doppio e si pone (e fa porre) la questione del cosa sia l'arte e cosa non lo sia (poi si parla di marketing, della nascita della pop art), non va mai a fondo, non graffia, rimane in superficie. Al contempo però è anche vero che la storia è raccontata bene, senza pedanteria ed è scorrevole e piacevole. 
Ma lo si guarda e lo si dimentica: nonostante la bella confezione (la colonna sonora è firmata come sempre da Danny Elfman e due brani sono firmati da Lana Del Rey. Big Eyes la canzone/tema portante ad esempio) è un po' sottotono. 
Comunque da vedere. Consigliato.


Voto: ***





Amy Adams e la vera Margaret Keane




Il trailer:









Voi l'avete visto? Cosa ne pensate?












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